Al Mast di Bologna fino al 5 maggio la mostra “Uniform – Into the work/Out of the work”

Uniform Mast Bologna

di Egle Prati – Il nuovo progetto espositivo della Fondazione Mast a Bologna, “Uniform – Into the work/Out of the work”, è dedicato alla divisa da lavoro, che sia tuta o abbigliamento consono a diverse tipologie di attività.

La mostra si divide in due progetti fotografici: una collettiva realizzata con immagini di 44 fotografi internazionali, tra i quali anche nomi molto noti, e il progetto fotografico del fotografo americano Walead Beshty, che ha realizzato 364 ritratti di persone che lavorano nel mondo dell’arte suddivisi in gruppi di artisti, collezionisti, curatori, galleristi, tecnici, direttori e operatori museali.

L’esposizione, curata da Urs Stahel, fa riflettere sul concetto di inclusione (uniforme) o divisione (tute da lavoro), o sui detti di saggezza popolare risaputi: “L’abito fa il monaco”, o “L’abito fa la persona” (come vige in Germania).

Negli anni si è imposta la distinzione tra “colletti blu”, le tute da lavoro per gli operai e gli artigiani, e i “colletti bianchi” per i dirigenti o gli amministrativi; mentre dagli anni Novanta si è aggiunta l’espressione “colletti rosa”. Ci sono poi i camici bianchi o verdi indossati da coloro che lavorano nell’ambito della sanità, o quello bianco per i tecnici e gli ingegneri. Il grembiule bianco, indossato un tempo dalle donne, connota invece fornai, cuochi, tipografi o legatori.

Ogni immagine è un racconto che evoca situazioni o ambienti, come per esempio gli scaricatori di carbone nel porto de L’Avana ritratti da Walker Evans, o gli scatti di Paola Agosti delle operaie nelle officine della Fiat a Torino.


Dall’omologazione alle identità differenti, le uniformi hanno la capacità di segnalare una sorta di appartenenza: con l’abbigliamento da lavoro si differenziano categorie sociali e ruoli professionali. Per questa ragione la carrellata di foto, a firma di nomi come August Sander, Irving Penn, Herb Ritts – e sono solo alcuni degli autori storici presenti, insieme ai fotografi contemporanei come Paola Agosti, Sonja Brass, Roland Fisher – induce a osservare come l’abbigliamento sia concepito, e soprattutto comunichi, l’agire nei diversi ambiti lavorativi.

“Industrial Portraits” presenta invece gli scatti del fotografo americano Walead Beshty, che con la sua macchina fotografica di piccolo formato (e pellicola analogica di 36 mm in bianco e nero) ha indagato diversi protagonisti del mondo artistico o del mercato dell’arte; non c’è l’intenzione di realizzare ritratti, ma quella di cogliere le persone nel loro contesto per evidenziarne la professione. E, nonostante si tratti di ruoli diversi perché legati all’arte, più vocati all’individualismo, certo più liberi dalle regole dell’omologazione, il tema della “divisa” sembra quasi riaffermarsi.