Alla Galleria 13 di Reggio in mostra “Il Mosaico del Mondo” di Maurizio Galimberti

Maurizio Galimberti PCL-Roma-Studio5-01032024 – MG

La Galleria13 di Reggio si prepara a inaugurare la mostra fotografica “Maurizio Galimberti – Il Mosaico del Mondo”: il vernissage è in programma sabato 11 ottobre alle 17.30 nella sede della galleria, in via Roma 34/b, alla presenza dell’artista. La personale, a ingresso gratuito, sarà visitabile fino al 30 novembre.

Saranno esposte opere a mosaico scattate in varie parti del mondo – Parigi, New York, Milano – e decine di singole polaroid manipolate dall’artista: uno spaccato emblematico e rappresentativo della visione fotografica e artistica di Galimberti, fotografo italiano di fama internazionale, noto per il suo approccio unico e sperimentale all’immagine, in particolare per l’uso creativo dell’istantanea, che ha saputo elevare a forma d’arte complessa, dimostrando che anche un mezzo considerato “minore” può veicolare contenuti profondi e visioni originali.


Nato nel 1956 a Como, Galimberti ha saputo costruire un linguaggio visivo personale, capace di fondere fotografia, pittura e frammentazione cinematografica. Il tratto distintivo del suo lavoro è senza dubbio la composizione a mosaico, una tecnica che ha reso celebre il suo stile e che lui stesso ha sviluppato con originalità a partire dall’uso della Polaroid SX-70, una macchina fotografica analogica a sviluppo istantaneo. Questo strumento, apparentemente semplice e “popolare”, nelle sue mani diventa mezzo di una ricerca estetica raffinata e concettualmente complessa dove è facile riconoscere l’influenza di grandi maestri come Umberto Boccioni e Marcel Duchamp.

Nelle sue composizioni il soggetto viene decostruito e riassemblato secondo un procedimento matematico e rigoroso che richiama l’armonia di una composizione musicale. Ogni immagine è come la tessera di un puzzle, e solo nel momento della ricomposizione – fisica, materiale – il soggetto torna a esistere, ma in una forma nuova e alterata. Questo processo produce una visione frammentata ma dinamica, che suggerisce il movimento del tempo, lo sguardo in trasformazione, la memoria visiva che si ricompone in modo non lineare.

Uno dei temi più affascinanti del lavoro di Galimberti è il suo rapporto con le città. In opere come “Viaggio in Italia”, “Paris”, “New York” o “Milano”, l’artista interpreta il paesaggio urbano non come semplice documentazione, ma come ritratto emotivo e architettonico dell’anima del luogo. Le città, sotto il suo sguardo, si trasformano in composizioni poetiche fatte di geometrie, luci e ombre, visioni moltiplicate che sembrano respirare. Le sue fotografie urbane non sono mai statiche, sembrano sempre in movimento, quasi come fotogrammi di un film mentale, e costringono lo spettatore a ricostruire mentalmente la totalità dell’immagine. Questo coinvolgimento attivo dello spettatore è una delle caratteristiche più forti del suo linguaggio visivo.

“Le architetture mi affascinano molto”, spiega lo stesso artista: “Le considero come una sorta di ‘palestra’ per la mia fotografia. Mi riferisco a opere come il Colosseo, il Pirellone, la Torre di Pisa, la Tour Eiffel, il Centre Georges Pompidou o certi grattacieli di New York. Li definisco scherzosamente ‘palestre’ perché ogni volta che vai in quei luoghi, e inizi a fotografare, trovi sempre una visione nuova e particolare e vai a casa soddisfatto. Poi puoi essere condizionato dal tuo stato d’animo di quel giorno, felice o sofferente, la luce cupa o luminosa; dipende da tante situazioni e questo ti permette di confrontarti continuamente con te stesso. Ad esempio Morandi dipingeva i vasi, i fiori. Felice Casorati parlava di ‘oggetti di affezione’, e questi sono i miei oggetti d’affezione. Mi piace molto girare nelle grandi capitali e fotografarne proprio le architetture che sono magnifiche, soprattutto quelle che partono dal Novecento, più fotogeniche rispetto alla mia fotografia”.



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