Un moderno “cantautore del passato”: Simone Fornasari presenta il nuovo EP “Che poi”

Simone Fornasari chitarra

Emiliano, nato a Fiorenzuola D’Arda (in provincia di Piacenza), Simone Fornasari ne ha già fatta di strada, ma ogni tanto mette il punto, per poi ricominciare.

E “Che poi”, il nuovo EP disponibile su tutte le piattaforme digitali (edito da Senza Dubbi e distribuito da Believe), non fa eccezione: il progetto chiude il percorso iniziato con l’uscita dell’album dal titolo “…”. Un EP che completa un viaggio, accomunato dallo stesso filo conduttore valoriale, figlio del medesimo universo creativo. Un lavoro – frutto di un tempo di silenzio e di ricerca – pensato, voluto e concepito a quattro mani, insieme al produttore artistico e amico di sempre Giancarlo Boselli.

Tu scavi, aggiungi, completi un percorso. L’EP parla di scelte, della tentazione di rincorrere il tempo e dell’altrettanta necessità di frenare, di convincersi che è importante fare i conti con se stessi, anche se il mondo – là fuori – non molla, continua a girare…

“Che poi” è la frase che non ti aspetti, quella che arriva dopo un silenzio; la testimonianza di parole che cercano la strada per uscire. Manifesta l’impossibilità di reprimere quello che segue a una rivelazione. Vedi, la capacità di saper scegliere per se stessi è una delle sfide più incredibili dell’uomo: saper scegliere è un atto di coraggio quotidiano. Spesso scegliamo solo perché essere compresi, accettati, capiti, più che per la necessità di essere fedeli a noi stessi.


Ti definisci “un cantautore del passato con un sound sincero e moderno”. Perché del passato? Credi che i cantautori stiano scomparendo? Essere un cantautore è necessariamente “cosa vecchia”? Non sono d’accordo.

No, assolutamente, è solo provocazione. Uso la musica come strumento provocatorio e mi piace pensare che la musica cantautorale sia associabile a qualcosa di sempreverde, che non abbia una scadenza. Anche se quello che oggi entra nella nuova dimensione “indie” strizza l’occhio a delle sonorità e a delle atmosfere differenti da quelle a cui sono affezionato io, che mi hanno fatto innamorare di questo mondo chiamato musica: credo che il cantautorato sia pura poesia in musica e che non possa mai mancare.

 

Hai detto anche che quando smetterai di scrivere canzoni, vorrà dire che la tua anima finirà di parlare: cerchiamo di dipanare la matassa.

L’anima racconta solo la pura verità di ogni individuo, è quella dimensione che non ha alcuna inibizione, nessun filtro, nessuna immagine stereotipata rispetto a un mondo che attorno a noi ci fa vedere e ci porta a vivere solo di cliché. Io uso questo strumento per scappare da ciò che attorno a me faccio fatica a comprendere; attraverso la musica riesco a essere me stesso senza inibizioni. Quando smetterò di scrivere vorrà dire che non avrò più nulla di sincero da comunicare e che sarà giunto il momento di smettere. Grazie al cielo, ad oggi, questa necessità è sempre fortunatamente tanta e fonte di nutrimento; puntiamo ad alimentarla.

 

Perché hai deciso di aprire l’EP con la traccia “Da che parte stare”, dedicata ad Ignazio Cutrò, amico e testimone di giustizia? Quando e come si sono “incastrate” le vostre vite?

Ignazio è stato uno di quei bellissimi regali che la musica mi ha fatto. Ci siamo conosciuti per caso: sono stato invitato a suonare a uno degli eventi dove veniva portata la sua testimonianza. Non lo conoscevo e conoscevo poco lo stesso concetto di “testimone di giustizia”: Ignazio mi ha trasmesso la sua storia, mi ha completamente distrutto emotivamente e mi ha fatto vedere le cose da tutta un’altra prospettiva. Le sue parole e le sue paure mi hanno letteralmente cambiato il modo di vedere le cose e mi hanno fatto sentire ancora più piccolo e fragile al cospetto della giustizia che non conosce paura.

È un uomo che ha semplicemente scelto di stare dalla parte giusta, compromettendo la vita delle persone care, facendo – passami il termine – una vita di vivo come fosse morto, emarginato da tutti. Ha una grande forza, e siccome ognuno di noi è chiamato a scegliere nella propria quotidianità se assumersi o meno una responsabilità, anche in funzione dello stesso stereotipato sistema di cui parlavamo prima, spero che la mia voce possa dar voce a Ignazio: perché la sua voce non ha una scadenza e non deve averla nemmeno la sua vita. È da qui che è nata la canzone, e anche l’intero EP.

 

Il singolo di lancio dell’album, in rotazione radiofonica, è però “Con i piedi per terra”: brano che parla dell’incosciente necessità di sognare. C’è una correlazione, infatti.

Credo che sognare sia un dovere e sia necessario a qualsiasi età. Sicuramente riuscire a farlo “con i piedi per terra” è la consapevolezza che abbraccia il desiderio. Naturalmente ogni giorno ci porta sempre più peso da sopportare, sempre più responsabilità, paranoie, ansie e tutto quello che implica il vivere, incluse anche le cose belle. La capacità di sognare è uno di quegli strumenti che con il tempo tendiamo ad abbandonare. Era più facile farlo quando ero più giovane, ma credo che sia necessario e doveroso a qualsiasi età: la vita è una e abbiamo il dovere di celebrarla. Non vuol essere un inno, ma un omaggio: la volontà di rappresentare questo concetto in musica.

 

Trovo l’idea del videoclip apparentemente semplice, molto popolare, assolutamente geniale: è stato diretto e girato in smart working, con il regista che vive ad Amsterdam e che ha “guidato” i lavori da remoto.

Io e Alessandro (Avarucci) ci conosciamo da tempo e avevamo già in mente di fare una collaborazione, prima ancora che fosse pronto l’EP. Naturalmente la pandemia ci ha costretto a rivedere tutti i piani e abbiamo cercato di trovare l’idea che potesse essere comunque funzionale e interessante, da proporre associando delle immagini alla canzone. Alessandro mi ha fatto una proposta che mi ha convinto da subito: a volte quello che conta è avere un’idea forte, ancor prima dei mezzi, poi attorno devi far solo in modo che tutto stia in piedi. E credo che lui abbia avuto davvero un’idea geniale, cercando di costruire un viaggio talmente paradossale da sembrare vero. Attraverso l’aiuto di diverse persone che si sono prestate, con l’invio di un po’ di “clippini”, e da una ricerca fatta da Alessandro – e, poi, dal tipo di montaggio successivo – ha dato vita a un video che mi è piaciuto molto e di cui sono molto orgoglioso.

Lo abbiamo detto in apertura: “Che poi” vuole chiudere un cerchio, completare il viaggio iniziato con “…”, ma visto che si dice che non sia tanto importante la meta quanto il viaggio, ce lo racconti? Com’è stato il tragitto?

Questo viaggio è stato incredibile: credo che sia stata la più grossa seduta di psicoanalisi a cui Simone si sia sottoposto e in cui si sia messo a nudo come mai non ha fatto prima. È stato violento, emozionante, assolutamente positivo, il viaggio più bello che abbia mai fatto: ma oggi non siamo più quelli di ieri e mi piace pensare che la musica sia parte di un percorso fatto di tappe, e quando il treno riparte si debba tirare una linea e ci si apra a un nuovo obiettivo. Ora sono ripartito e non so bene dove io stia andando, ma stanno arrivando tante cose belle e credo che questo lo debba anche al bellissimo tragitto che ho avuto modo di fare.