Stazione Reggio: gli errori della sinistra

Stazione di Reggio con polizia

La scelta incomprensibile di rinunciare all’adesione al progetto Strade sicure proposto dal governo agli enti locali per rafforzare la sicurezza nelle zone a rischio, espressa dal consiglio comunale di Reggio in seguito all’atteggiamento pilatesco del sindaco Vecchi, rischia di costare al candidato del centrosinistra più caro di quanto dicano tradizioni e previsioni. Mentre Modena ha rinforzato la presenza dell’esercito, e Parma idem, a Reggio Emilia, dove la pericolosità sociale della zona stazione vecchia è ormai assurta alle cronache nazionali, il Comune ha respinto per mere autolesioniste ragioni ideologiche una misura logica e di buon senso, nell’esclusivo interesse dei cittadini, che sarebbe stato accolto con il favore generale.

Vi è qui, nella decisione municipale di ipotizzare in zona stazione un non meglio precisato “presidio sanitario”, e di non accogliere una ventina di soldati in divisa a tutela della sicurezza pubblica e con esplicita funzione di deterrenza, quell’antica insopprimibile ostilità culturale a comprendere il mondo nella sua fenomenologia multiforme, nel quale si confonde l’aspirazione morale verso una convivenza pacificata e progredita per tutti con la rappresentazione visibile e tangibile della società, che vive di ingiustizie, di violenze, di crimini, e che di conseguenza, per garantire un’accettabile convivenza comune, è costretta ad assumere talvolta decisioni non consone ai propri canoni morali.
Di più, nel pensiero peraltro sempre più in crisi anche dalle nostre parti circa l’immigrazione incontrollata, la delinquenza piccola e grande, le mafie che controllano droga e prostituzione e perfino interi quartieri (viale IV Novembre, piazzale Marconi, via Turri sino a via Emilia Ospizio, e ad ovest via Eritrea sino al centro storico, via Roma compresa) oggi sotto controllo delle bande criminali da anni stabilite e libere di agire in città, il grave difetto di comprensione della sinistra in generale, compresa ahimè la gran parte del Pd, riguarda il tema cruciale della libertà e della difesa dei più fragili.
È un vero paradosso che nella sedicente Reggio Emilia “città delle persone” il più completo lassismo in tema di minima sicurezza pubblica abbia sottratto, per inerzia e per incomprensione del fenomeno, interi quartieri alla frequentabilità dei più deboli. Le donne, ragazze o anziane. I vecchi. Le persone con problemi di disabilità. Le persone sole. Nel bilancio del ventennio Delrio-Vecchi manca, nella colonna delle uscite, la gravissima sottrazione di agibilità e di vivibilità di interi quartieri fatta pagare ai cittadini reggiani più fragili. Questo furto è un furto di libertà. È un furto di vita a cittadini del tutto innocenti. È una colpa dalla quale i responsabili non si toglieranno mai di dosso la responsabilità. Un soldato o un agente davanti alla stazione può convincere una donna a prendere il treno che altrimenti non prenderebbe, per il più che ragionevole timore di essere aggredita o rapinata. Osteggiare le forze dell’ordine significa invariabilmente fomentare il disordine, ossia l’arbitrio, ossia la prepotenza, ossia la violenza. Questi residuali pensieri che provengono dalle macerie della sinistra rivoluzionaria degli anni Settanta, che si tradussero peraltro con grande successo a Reggio Emilia con la nascita del terrorismo delle Brigate rosse, vengono ancora in parte minimizzati, banalizzati, in fondo accettati anche negli ambienti della sinistra per così dire costituzionale. E questo è il punto di caduta di qualsiasi confronto che oppone da sempre riformisti e massimalisti. Il valore della libertà e dunque della sua garanzia, a cominciare dai più deboli.



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