Pd. Minniti rinuncia alla candidatura

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“Quando ho dato la mia disponibilità alla candidatura sulla base dell’appello di tanti sindaci e di molti militanti che mi hanno incoraggiato e che io ringrazio moltissimo, quella scelta poggiava su due obiettivi: unire il più possibile il nostro partito e rafforzarlo per costruire un’alternativa al governo nazionalpopulista”.

E’ finita dopo appena 18 giorni la corsa di Marco Minniti verso le primarie per la segreteria del Partito democratico, l’annuncio  in una intervista a Repubblica.

“Si è semplicemente appalesato il rischio che nessuno dei candidati raggiunga il 51 per cento. E allora arrivare così al congresso dopo uno anno dalla sconfitta del 4 marzo, dopo alcune probabili elezioni regionali e poco prima delle europee, sarebbe un disastro”, afferma l’ex ministro dell’Interno. “Io lo faccio solo per il Pd. So che c’è il rischio di deludere chi ha deciso di concedermi un affidamento. Ma ci sono momenti in cui bisogna assumersi delle responsabilità personali. Per troppo tempo il partito si è adagiato su uno specchio deformato in cui ci si chiedeva ‘che faccio io?’ Un eccesso di personalizzazione. Ma il destino di un partito non può essere legato alle singole persone”.

Ma forse il dato determinante è che Renzi non ha mai speso una parola in questi giorni per smentire la scissione? “Le scissioni – risponde Minniti – sono sempre un assillo. Sappiamo perfettamente che il Pd ha pagato un prezzo durissimo. Ha pagato un prezzo altissimo a congressi cominciati e mai finiti. Spero che non ci sia alcuna scissione, sarebbe un regalo ai nazionalpopulisti”. Nel Pd molti definivano “renziana” la sua candidatura. Lei ha rifiutato questa etichetta. Si aspettava una maggiore collaborazione dai renziani? “La mia decisione è indipendente dall’affetto politico che si è manifestato. Io ero in campo per difendere il nucleo riformista del Pd e arrivare ad un esito legittimante. Il resto non esiste”. Ne ha parlato con Renzi? “Non ci siamo sentiti”.