Reggio. Marchi: migrazioni, tema cruciale delle prossime elezioni

assessore Daniele Marchi RE

Dice Daniele Marchi, assessore a Welfare e Migranti del Comune di Reggio Emilia: “Tra un anno saremo chiamati a votare per la città e per l’Europa.

Esiste una connessione politica, non solo elettorale, sempre più intensa tra ciò che accade in Europa e ciò che accade nelle nostre città, Reggio Emilia compresa. Pandemia, Pnrr e guerra sono solo gli ultimi esempi in ordine di tempo. E il peso, morale e materiale, di questi eventi, anche in conseguenza delle ‘onde di frequenza’ globali che ci attraversano, non è trascurabile nelle comunità locali.

Tra queste connessioni ve n’è una che, a mio avviso, non può essere elusa nel pensare al futuro delle nostre città e dell’Europa: la questione migratoria come questione esistenziale per le città e per l’Europa. La Giornata mondiale del Rifugiato voluta dall’Onu, che si celebra il 20 giugno, ci offre l’occasione per fare alcune riflessioni su questo.

Parto dal fondo. Dall’abisso del mare Mediterraneo, giù fino a quei 4.000 metri di profondità dove giacciono “illacrimati e insepolti” gli ultimi corpi dell’ultimo terribile naufragio (oltre 600 morti al largo delle coste greche).

“Potevano essere soccorsi!”, si grida da una riva. “Potevano non mettersi in viaggio!”, si risponde dall’altra.

Ma in mezzo resta l’abisso.

Di fronte a quest’abisso non possiamo cambiare canale pensando che non ci riguardi. Ci riguarda.

Innanzitutto scuote alle fondamenta le nostre comunità: il diritto alla vita di ogni persona (articolo 2 della Convezione europea dei Diritti dell’uomo) e i diritti inviolabili di ogni uomo (articolo 2 della Costituzione italiana) fondano la tenuta delle nostre comunità: se saltano questi, salta tutto.

Poi ci riguarda perché ci arriva sotto casa. In tanti piccoli “abissi urbani”, dove chi è riuscito a sopravvivere al mare rischia di affogare nell’esclusione, nella marginalità, nelle dipendenze, nelle diffidenze, nelle indifferenze e nelle paure delle nostre comunità. Lo “straniero” da respingere si trasforma in “balordo” da neutralizzare, in “problema” da spostare nel giardino del vicino.

La posta in gioco è la medesima ed è istituente il nostro essere (o non essere) comunità.

Allora di fronte a questi “stranieri” dobbiamo provare ad andare oltre la paura e il pregiudizio. E possiamo farlo in un solo modo: guardandoli in volto, riconoscendoli come esseri umani al nostro pari, accettando il rischio di una relazione e in quella relazione incontrare le persone.

E allora accade che l’abisso inizia a colmarsi. Si colma col datore di lavoro che di fronte ad un ragazzo che perde la casa (e tutto il resto), si impegna e la casa gliela trova lui. Si colma con centinaia di operatori che quotidianamente si “prendono cura”. Si colma con volontari che attraverso un piatto, una coperta, una lezione di italiano costruiscono legami. Si colma con il perseverare, nonostante le correnti avverse, nella giusta rotta: il riconoscimento dei diritti fondamentali, come la Cittadinanza, che quasi ogni mese rilasciamo nella Sala del Tricolore a decine di volti e vite sfuggite a distruzione, persecuzione, miseria, disperazione: volti e vite che sono come noi persone.

Non solo noi. Non da soli potremo colmare quegli abissi. Perciò una coscienza europea sul tema, che trovi traduzione anche nel prossimo programma e voto elettorali, è decisiva.

Con qualsivoglia lente si legga la storia, la conclusione mi risulta la stessa: serve un’uscita globale – usiamolo questo aggettivo, così à la page, anche per questo tema così disgraziato – dall’egoismo.

Il nostro impegno, la nostra resistenza di civiltà, che nasce da un imperativo morale prima ancora che politico o solidaristico e che si traduce in testimonianza, non può venire meno. E non verrà meno”.