La Procura di Reggio e l’avvocato Luca Sebastiani hanno presentato appello contro la sentenza della giudice per l’udienza preliminare Silvia Guareschi, che il 17 febbraio scorso ha condannato per abuso di autorità contro detenuto in concorso (con pene variabili da quattro mesi a due anni di reclusione) dieci agenti della polizia penitenziaria imputati nel processo per il pestaggio ai danni di un giovane detenuto tunisino, avvenuto il 3 aprile del 2023 nel carcere di Reggio, senza però riconoscere – come aveva chiesto invece la pubblica accusa – il reato di tortura, né quello di lesioni.
La scena “incriminata” è stata documentata nei dettagli dalle telecamere del sistema di videosorveglianza interno del carcere: la vittima è stata incappucciata con la federa di un cuscino stretta intorno al collo, poi denudata, aggredita con calci e pugni, spinta, calpestata. Dopo essere stato sollevato di peso e riportato in cella, il detenuto è stato poi aggredito una seconda volta e lasciato a lungo seminudo.
La giudice, tuttavia, in primo grado non ha riconosciuto il reato di tortura, e ha riqualificato l’accusa di lesioni in quella di percosse aggravate: da qui le condanne più lievi (fino a un massimo di due anni) rispetto a quelle richieste dal pubblico ministero Maria Rita Pantani, che arrivavano fino a cinque anni e otto mesi di reclusione – per l’unico agente di polizia penitenziaria a cui venivano contestate tutte le imputazioni (tortura, lesioni e falso). L’accusa di falso, invece, ha retto per tutti e tre gli imputati a cui è stata contestata, relativamente a tre relazioni di servizio giudicate non veritiere rispetto a quanto realmente accaduto.
Nella sentenza, la gup Gureschi aveva sostenuto che le condotte contestate agli imputati “non si erano dimostrate atti di violenza gratuita”, e che quindi non si configurava il reato di tortura. Per la giudice dell’abbreviato, sussistevano invece i reati di abuso di autorità contro detenuto in concorso (e cioè “l’avvenuta alterazione del trattamento legale”) e le percosse, oltre alla falsità ideologica per tre degli imputati.
La partita sull’eventuale reato di tortura, adesso, passerà al vaglio della Corte di appello.
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