Nuovi schiavi e città future

food-deliver1

Ha fatto notizia qualche giorno fa il riconoscimento da parte di Just Eat, società di consegne di cibo a domicilio, di un accordo raggiunto con la controparte sindacale per la tutela dei cosiddetti “riders”, le migliaia di lavoratori senza garanzie che ogni giorno consegnano pasti in sella a biciclette o ciclomotori ormai in tutte le città. L’accordo è importante perché stabilisce il rapporto di subordinazione del lavoro e assegna ai riders lo status di dipendenti, con una minima paga di base e la possibilità di organizzare il lavoro su scala settimanale, oltre che la tredicesima mensilità. Just Eat è la prima società di delivery a riconoscere ai propri addetti una serie di garanzie di base la cui assenza è valsa sinora a definire la categoria dei riders come “nuovi schiavi”. Guido Maria Brera, che oltre a essere esperto di finanza è anche scrittore, ha appena firmato un romanzo sul tema.

Se Just Eat assumerà quattromila riders entro quest’anno, non è detto che le società concorrenti facciano altrettanto. Un accordo nello scorso autunno firmato dalla sola Ugl assicurava condizioni molto favorevoli ad Assodelivery, l’organismo di categoria dei fornitori di servizi di consegna, dichiarando gli addetti “lavoratori autonomi’, come tali imprenditori di se stessi. Ma Just Eat ha già lasciato Assodelivery e c’è da credere che presto la seguiranno altri. Anche perché la percezione sempre più diffusa che quel tipo di lavoro esponga l’esecutore a evidenti rischi per la propria sicurezza si è ampliata. Ed è un lavoro non solo pericoloso ma anche mal pagato.

Il food delivery è enormemente cresciuto in questi quasi quattordici mesi di Covid per evidenti ragioni. Passata la pandemia si tornerà alle modalità precedenti? A me sembra improbabile. Già molti apprezzano (o sono costretti dagli orari di pausa troppo limitati) il servizio di consegna del pasto in ufficio. Ma la comodità e la praticità della consegna a mano evita la coda alle gastronomie o ai ristoranti. Soprattutto, evita l’obbligo di cucinare.

C’è un punto che rimane in discussione e che probabilmente farà la differenza. Ne scaturisce la domanda: quanto siamo disposti a spendere per la sicurezza e il benessere di chi ci consegna il cibo? I clienti accettano mal volentieri il sovrapprezzo per la consegna e tendono a risparmiare sul servizio offerto. Questo ovviamente non è possibile per i ristoratori, i quali si accollano i costi di trasporto e li devono in qualche modo valorizzare.

Di più. Il delivery deve essere ecologico, pulito, non deve generare altro inquinamento. In Pianura Padana siamo già in una situazione disastrosa dal punto di vista climatico. Occorre una svolta radicale sulla mobilità. Occorre partire dai centri urbani per abbattere la produzione di gas serra e di agenti inquinanti di ogni genere.

Oggi economia, finanza e politica sono indirizzate verso modelli di sviluppo green. Bisogna iniziare anche da noi stessi, affrontando minimi sforzi quotidiani e indirizzando i più giovani a uno stile di vita adeguato al futuro che li attende. Vivere in una società divisa tra schiavismo e privilegio non può piacere neppure ai privilegiati. Le società prosperano quando non vi sono tensioni sociali. Le città aumentano la qualità della vita dei propri abitanti tanto più riescono ad assicurare verde urbano, ossigeno, parchi, giardini, mobilità dolce, spazi per il gioco, lo sport, l’educazione, la cultura. È una sfida più difficile di quanto si creda. Vale la pena di provarci.