Il procuratore di Modena Luca Masini e le pm Lucia De Santis e Francesca Graziano, a quasi un anno di distanza dall’ordinanza con cui la giudice per le indagini preliminari Carolina Clò aveva rigettato una prima richiesta e aveva concesso sei mesi di tempo per svolgere ulteriori indagini sugli esposti dei detenuti del carcere modenese, che avevano denunciato di essere stati vittime di pestaggi, hanno chiesto di nuovo l’archiviazione del fascicolo aperto a carico di una novantina di agenti, accusati di tortura e lesioni.
Secondo la Procura di Modena, dunque, non è stato commesso alcun reato dal personale della polizia penitenziaria durante la rivolta scoppiata l’8 marzo del 2020 (proprio all’inizio della pandemia di Covid-19) nella casa circondariale Sant’Anna di Modena, durante la quale morirono nove detenuti. La sommossa era nata per protestare contro il pericolo di diffusione del nuovo coronavirus all’interno della struttura penitenziaria emiliana.
Con un provvedimento lungo quasi 400 pagine, che in gran parte richiama gli accertamenti che avevano già portato alla prima richiesta di archiviazione, la Procura di Modena ha giudicato come sostanzialmente inattendibili i racconti di chi ha denunciato i presunti abusi, sottolineando come anche dopo le ulteriori indagini l’analisi sistematica degli elementi raccolti non abbia consentito di ravvisare reati, non essendo stato possibile accertare alcun nesso causale tra le lesioni effettivamente riscontrate sui detenuti ed eventuali specifiche condotte illecite da parte della polizia penitenziaria.
Sempre secondo la Procura modenese, non è stato possibile ricostruire condotte volutamente finalizzate a infliggere sofferenze, traumi o trattamenti inumani o degradanti ai detenuti durante le concitate fasi di recupero, da parte della polizia penitenziaria stessa, delle redini dell’istituto carcerario, che al culmine della sommossa era di fatto passato – almeno temporaneamente – sotto il controllo degli stessi detenuti.







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