Le guerre attuali ci sollecitano a riflettere sul rapporto tra l’uomo e il denaro. In questi anni ce ne ha parlato papa Francesco, riprendendo tanti passaggi del Vangelo. Non dobbiamo dimenticare il suo magistero, chiedendoci sempre di nuovo quale sia il senso, non solo del denaro, ma di ciò a cui il denaro serve, cioè il potere.
Il problema è stato posto a Gesù, in una delle tentazioni che il diavolo gli propone nel deserto: “Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: ‘Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo’” (Lc 4,5-7). Alcuni commentatori trovano una via d’uscita, ricordando che il diavolo è menzognero e lo è in particolare in questa sua affermazione. Io penso, invece, che ci sia un rapporto stretto tra il potere e il demoniaco, che, ricordiamolo sempre, ha come scopo la morte dell’uomo. Perché? Perché il denaro e il potere si trasformano facilmente in idoli e a quel punto si aprono ampi spazi, non solo alla morte, ma alla corruzione delle dimensioni più profonde dell’uomo e della storia. L’idolatra è estremamente pericoloso, perché non riesce a fermarsi nella sua avidità.
D’altra parte, c’è un ordine, voluto da Dio stesso, nel quale il potere può divenire servitore del bene comune. Addirittura, Paolo chiama i governanti, in particolare quelli che impongono le tasse, leiturgòi di Dio, cioè incaricati di un servizio voluto da Dio stesso. Paolo esorta anche a pregare “per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” (1Tim 2,2 s.). Dunque, il rischio di una degenerazione idolatra dei detentori del potere è possibile, se dobbiamo pregare per loro; inoltre, l’ordine sociale non è lo scopo ultimo del cristiano, ma è comunque la condizione minima perché il Vangelo trovi ascolto e la Chiesa sia libera e casta.
La castità della Chiesa, come ricordano i Padri, è la fedeltà al suo sposo, Cristo. Ma la sposa non può vivere diversamente dallo sposo, dalla sua umiltà e mitezza. Questo è molto più difficile, quando c’è la guerra, ma anche quando il denaro diviene un idolo, quando non si è capaci di rifiutare i compromessi, come il commercio delle armi. Tuttavia, come dice il libro dell’Apocalisse, si può abitare da cristiani anche “là dove Satana ha il suo trono” (Ap 2,13). Bisogna però essere consapevoli del pericolo e attivare le contromisure.
Anzitutto, il pericolo. Il Vangelo chiama il denaro mammona iniquitatis; “mammona” è un termine dispregiativo, per designare gli idoli del denaro; e l’iniquità, la malvagità, la disonestà del denaro si collocano spesso nell’origine della ricchezza e ancora di più nelle tentazioni connesse con il suo utilizzo. Dunque, la dinamite può essere utile o addirittura necessaria; ma bisogna maneggiarla con attenzione, consapevoli del pericolo.
Come maneggiare il denaro, dunque? L’evangelista Luca ne parla diffusamente (cap. 16). Anzitutto, ci si deve considerare amministratori, non padroni. Attraverso la preghiera e la continua revisione di vita, diventare servi fedeli, che un giorno dovranno rendicontare l’uso dei talenti affidati. Poi, l’elemosina: amministratori per il bene comune, per un bene che ritorna indietro moltiplicato: “Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9). Questi amici sono i poveri. Oggi la povertà ha dimensioni mondiali: l’arrivo dei migranti è un segno che dovrebbe farci riflettere, sperimentare, coinvolgerci senza la retorica dei luoghi comuni, non richiudendoci in rappresentazioni improbabili, come quella dell’invasione, dell’assalto al nostro benessere.
“Se non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?” (Lc 16,11s.). Il mio desiderio è quello di sentire la voce che mi dice: “Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo padrone” (Mt 25,21). Non ci sono arrivato, ancora; ma possiamo attrezzarci.







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