L’indifferenza e la fine della compassione

dossetti12

Vi è una guerra in atto, della quale il conflitto in Ucraina è una manifestazione, come lo sfogo di un vulcano, dove il magma ribolle nelle viscere profonde. Si tratta di una guerra antica, della quale l’uomo è vittima e complice. Il suo obiettivo è espresso dalle parole che la Bibbia mette in bocca all’empio: “Dio non c’è”(Sal 14,1). Non si tratta della proclamazione di un ateismo filosofico, ma viene affermata l’irrilevanza di un Dio che non governa il mondo, forse perché non gli interessa o perché neanche lui può cambiare le cose. Ricordiamo che il Dio della Bibbia, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ha un nome proprio, che già gli ebrei sostituivano, per non pronunciarlo invano, con la parola “Signore”. Il nome divino, rivelato a Mosè sul Sinai, è “Jahveh”, che significa “Io sono”: esso vuol significare che la caratteristica di questo Dio è di essere presente, sempre e in ogni situazione. Gesù esprime la relazione con questa Presenza, chiamando il Tu divino con la parola “Padre”.

La grande crisi della fede non è la negazione di Dio, ma l’indifferenza. Spesso, l’ateismo è venato dalla nostalgia: l’indifferenza, invece, è il disinteresse di chi ha deciso di cercare altrove.

Il giudizio di irrilevanza e l’indifferenza vengono trasferiti anche sulla Chiesa. Mi sembra che i credenti cadano in una trappola, che il loro avversario ha teso loro con abilità. Il conflitto viene spostato nell’ambito morale e l’accusa mette in rilievo le colpe dei cristiani, spesso vere. Non si possono negare la pedofilia, gli scandali finanziari, la giustificazione della guerra, l’atroce spaccarsi dei credenti nell’unico Salvatore in campi mortalmente opposti. A queste accuse, i cristiani oppongono le opere buone, spesso eroiche e ingiustamente dimenticate; sottolineano gli sforzi di riforma di papa Francesco; ricordano i sacrifici delle innumerevoli opere di carità.

Il guaio è, che la posta in gioco non è l’accreditarsi della Chiesa per le sue opere buone o il dichiararla fallita per le sue infedeltà al Vangelo. Chi è sotto accusa, in realtà, non è la Chiesa, ma il suo Dio. Anzi, non è neppure in discussione che esista un Dio, quanto piuttosto che abbia ragione Gesù, quando lo chiama “Padre”. Di quale padre parliamo, se non si prende cura dei suoi figli?

Nel vangelo di Giovanni, nei colloqui che precedono l’arresto e la passione, Gesù vuole consolare i suoi discepoli, quelli che, ignari, sono a tavola con lui, ma anche quelli che lo invocheranno, fino alla fine della storia: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore … Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,1-3). Quando verrai, Signore? è la domanda dei discepoli di allora e di oggi. Per il tuo ritorno glorioso, dovremo aspettare la fine dei tempi? La risposta è: “Io sono la via, la verità e la vita”(14,6). Non sono soltanto la via, perché allora non sarei diverso da tanti maestri: sono la “verità”, che nel linguaggio giovanneo significa che la via viene incontro, soprattutto ai piccoli, ai feriti nell’anima. Ma sono anche la vita, perché l’amore non ammette rinvii, così che oggi la via ha già raggiunto il suo termine, e il termine è la comunione, e la comunione non è impedita dai peccati e dai tradimenti, perché le ferite della crocifissione sono sempre aperte, per accogliere, consolare, guidare alla nascita di un uomo nuovo.

Ancora più della guerra, mi opprime lo spettacolo di tanta sicurezza, tanta incapacità di mettersi in discussione. Non esiste più compassione per l’altro essere umano, quando si presume di essere arbitri e giudici. Quando però verrà l’ora della sofferenza, del dubbio, del rimorso, la disperazione potrà diventare troppo grande da sopportare. Forse, sarà quello il momento di un’invocazione accorata e la parola “Padre” riacquisterà significato.

Comprenderemo ancora meglio l’intuizione di papa Francesco, quando ha chiamato la Chiesa ad essere un “ospedale da campo”. Si tratta certo anche di venire incontro alle grandi povertà degli esuli, delle vittime della guerra, delle persone abbandonate. Ma il medico è stato anche lui un malato, anche lui ha conosciuto il tempo delle domande senza risposta. La risposta, egli se la ripete incessantemente: “Non vi lascerò orfani … Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14,18.27).