Lettera di Natale

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Mi chiedono e mi chiedo se abbiamo il diritto di fare festa, in questo Natale. Basta leggere qualche cronaca da Gaza o dal fronte ucraino, perché la domanda ci inquieti; senza dimenticare altri conflitti, meno noti, ma che distruggono popoli e territori, come quello in Sudan. Poi, ci sono le sofferenze nascoste nella vita delle famiglie, come la morte della bimba africana, che aveva traversato il mare nel grembo della mamma, che era nata nella nostra città e affidata al CeIS, morta senza motivo apparente “sulle soglie della luce”, in luminis oras, come scrive il poeta latino, ripreso dalla liturgia dei Santi Innocenti.

Ma l’angelo dice ai pastori: “Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo (Lc 1,11) e san Paolo scrive: “Siate sempre lieti” (1Tess 5,11), e insiste: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti” (Fil 4,4). Paolo sente il bisogno di ripetere la sua esortazione alla gioia: anche allora, era difficile trovarne i motivi. Si tratta di gioia, non di sopportazione o rassegnazione: quindi, c’è una novità, c’è un dono, sovrano e inatteso. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”: “Carne”, dice Giovanni, riassumendo così il suo vangelo (1,14), cioè Dio può essere toccato, abbracciato, anche ferito e ucciso, come noi uomini, e questo per noi, per ciascuno di noi. La novità sta nella ripetizione: non una volta, ma ogni anno, ogni giorno per sempre, Dio non si stanca di rinnovare l’offerta, tanto a coloro che la rifiutano, come a chi è miseramente infedele.

“I pastori sentirono i concerti degli Angeli  al Cristo disceso tra noi.  Correndo a vedere il Pastore,  lo mirano come agnellino innocente nutrirsi alla Vergine in seno”, così canta la Chiesa greca. Dio si mette dalla parte degli agnelli. “Il Signore è vicino”: questo è il motivo dell’esortazione di Paolo alla gioia. Egli è vicino ai poveri, agli smarriti: come loro, è profugo, come loro porterà la croce pesante; ma è vicino anche ai violenti, ai malvagi, a coloro che non conoscono altra via se non quella della forza. Egli è vicino anche a coloro che non riescono a guardare il nemico se non con uno sguardo pieno di odio, per il torto subito; ne raccoglie le lacrime segrete, guida a cercare una strada di riconciliazione, accoglie il dolore e lo trasforma in preghiera.

La preghiera e il Natale sono intimamente uniti. Non dobbiamo aver fretta, neppure la fretta di compiere atti di carità. Certamente, al dono risponde la gratitudine e sentiamo rivolta a noi la parola del Vangelo: “Amatevi come io ho amato voi” (Gv 13,34), e anche: “Tutto quello che avrete fatto al più piccolo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Ma non c’è fretta. L’amore desidera essere contemplato, ancora prima di essere ricambiato. Per questo, per esempio, lo stupore dei bambini di fronte ai regali, ci commuove.

“E’ apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini”, così, ancora una volta, è san Paolo che scrive (a Tito 2,11). “E’ apparsa”: ciò che appare, illuminando la notte, è grazia, bellezza. Contempliamo e ammiriamo. La preghiera è anzitutto contemplazione, per questo, tutti possono pregare, perché non c’è bisogno di parole. Le parole, come le opere, anche quelle più generose, fioriranno spontanee, se appena un poco ci fermeremo davanti a quella piccolissima carne, che è la parola del Dio philanthropos, innamorato degli uomini, di tutti gli uomini.




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