L’editoriale del direttore. Pietra lavica

lavica

Sento come dovere etico l’espressione di pensieri impopolari, laterali, individuali. Non sono uomo politico. Non cerco like, al massimo qualche interazione intelligente. Man mano che si accorcia il mio tempo avverto la progressiva distanza tra la mia coscienza e questa società che si nutre di linguaggio pop. Detesto la volgare aggressione degli “eventi”, le sagre paesane, il Brutto spacciato per cultura. Sto infinitamente meglio nella dimensione interiore in cui decenni di amati amici maestri hanno aiutato ad addentrarmi. Mi basta qualche pagina di Faggin per tornare a respirare e a riconoscere come grande madre e compagna la philosophia perennis nella quale ritrovo il senso dell’essere infinitesima parte di vibrazioni sinora agli umani non del tutto accessibili, ma già ampiamente sperimentate dai più evoluti tra di noi e chi ci ha preceduti.
Sin da bambino ho amato la solitudine, quella che Battiato definisce “isola benedetta”. Seduto su una roccia lavica davanti alle onde del Mediterraneo sferzato dal maestrale godo la meraviglia del pianeta Terra e sento come tutto esista nella semplice perfezione della consapevolezza. Il mondo di sotto è la profezia realizzata dell’inferno dantesco: nevrosi, odio, competizione, manipolazione avvelenano le vite dei più. Per fuggire dalla schiavitu e trovare
profondissima quiete credo occorrano buoni maestri (o maestre) ma soprattutto, credo, un colpo di fortuna, o una benedizione dall’universo. Che non è fuori di noi, ma nella nostra coscienza ispirata e nutrita dalla Bellezza interiore. Respiro l’aria salmastra e osservo pietre antiche centinaia di migliaia di anni levigate dal mare. Potrei dire che non c’è anima viva, se non avvertissi nella coscienza che tutto questo è anima viva, vivissima, creatrice e parte di questo meraviglioso tutto che vibra e che appartiene all’eternità.




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