La disabilità di Timi è uno “Skianto”

Filippo TImi in SKIANTO – foto di Noemi Ardesi__
8.7

In scena al Teatro Ariosto, “Skianto” di e con Filippo Timi, una produzione Teatro Franco Parenti, spettacolo nato nel 2014 con il contributo del Teatro Stabile dell’Umbria.

Timi racconta la storia di un bambino a cui dà il suo nome, Filippo, che è nato con un grosso problema, la sua scatola cranica è sigillata. Un po’ autobiografico un po’ no, una sua cugina è nata con questa grave disabilità, questo spettacolo ci immerge nella mente di una persona costretta nella sua cameretta grigia da cui non esce mai, nel suo corpo che non controlla, nei suoi pensieri che non può esprimere a parole. Cosa direbbe Filippo se potesse? E come lo farebbe? Lo spettacolo alterna i racconti di Timi alle canzoni di Salvatore Langella e a video di YouTube, compilation di gattini buffi o le famose pubblicità “never say no to Panda”, che all’inizio sembrano non avere senso inserite in questo contesto, ma ti ricordano della quotidianità di una vita normale, fatta anche di video stupidi su YouTube, che ci scordiamo una persona disabile ha, o desidera di avere, come tutti noi. Sulla scena vengono di continuo proiettati video e riprodotte canzoni, il risultato è molto pop.

La forza poetica di “Skianto” è che racconta della storia di Filippo, senza cadere nella presunzione di rappresentare l’intera “categoria di disabili” con facili generalizzazioni. Timi permette al suo corpo di provare tutto quello che Filippo non può: narra il concepimento dei suoi genitori come un’epica battaglia fra spermatozoi mentre fa le capriole in aria; ci racconta di come non è in grado di controllare il suo corpo pedalando in cyclette; ci confessa del suo desiderio di diventare un ballerino e di sposare un pattinatore sul ghiaccio che ha visto in TV e un attimo dopo si dimena in uno sgargiantissimo completo attillato sui pattini a rotelle. Lo spettacolo viene poi arricchito da momenti veramente toccanti come quando sulle note di “Je ne regrette rien” di Edith Piaf intravediamo per la prima e unica volta il vero Filippo, che tenta di esprimersi in un corpo che lo tiene prigioniero e una gola che lascia uscire solo lamenti; o quando ci spiega che cosa vuol dire non poter comunicare ai propri genitori che lui gli vuole bene, “Lo so che loro lo sanno, ma non è la stessa cosa”; o quando prega la Fata Turchina di Pinocchio, se essere un bambino normale è una richiesta troppo grande, di trasformarlo per lo meno in un burattino; o infine quando ci confessa, nel più schietto e vero dei modi, i suoi desideri sessuali.

Rilevante l’uso consistente di espressioni volgari, un metodo semplice quanto efficace di ribellione ad una vita, o non vita, che Filippo non ha scelto, ma che non può rifiutare. Ironico e poetico, il risultato è ottimo. L’idea è buona, ma di certo ciò che permette allo spettacolo di raggiungere l’eccellenza è la maestria di Filippo Timi, che in un colorato dialetto umbro e nell’uso istrionico del corpo ci catapulta in un mondo altro.

I nostri voti


Filippo Timi
9
Regia
9
Idea
8