La crisi delle finanze pubbliche francesi non è più un dettaglio tecnico, ma una voragine che mina la credibilità della seconda economia dell’Eurozona. Macron, stretto tra deficit fuori controllo e una crescita anemica, si illude di nascondere i guai interni moltiplicando iniziative di politica estera che non gli competono e che, soprattutto, Parigi non può permettersi. L’Eliseo prova a recitare la parte della potenza globale, ma dietro la retorica resta un Paese che arranca, logorato da un debito ingestibile e da un tessuto sociale sempre più fragile.
Il paradosso è che, mentre l’Italia mostra segnali di maggiore affidabilità sui conti pubblici, questo non porta reale sollievo. Perché? Perché i mali profondi della Francia e della Germania hanno svuotato la centralità dell’asse franco-tedesco, ossatura politica ed economica dell’Unione Europea. Senza quella coppia, l’Europa non ha guida né direzione.
Ed è proprio qui che il quadro si fa cupo: i sommovimenti geopolitici, dall’Ucraina al Medio Oriente, dalla Cina agli Stati Uniti in piena transizione elettorale, vedono ancora una volta l’Unione isolata, inutile, incapace di parlare con voce propria. Non è solo questione di leadership: è la prova che il progetto europeo, privo di una forza economica solida e di un’anima politica comune, rischia di rimanere un guscio vuoto.
Il declino simultaneo di Francia e Germania non è una buona notizia per l’Italia, né per chi ancora crede nel futuro europeo. È piuttosto il segnale che l’Europa ha perso la bussola, che la sua impotenza sta diventando strutturale. E che la retorica dell’unità, senza basi concrete, non vale più di una moneta svalutata.







L’europa così com’è ora è finita, c’è solo per chi non vuole prenderne atto.
Chi crede nella guerra per unire popoli e coscienze dovrà sopportarne le conseguenze. Quando tutto sarà compiuto ne uscirà una società meno malata, ma il costo umano sarà enorme.