Sabato 22 ottobre, alle ore 16.30 nello spazio Interno 1 della Galleria Parmeggiani di Reggio Emilia (via Benedetto Cairoli, 2), è in programma l’inaugurazione della mostra “Gino Gandini. Il sentimento della visione”, promossa dal Comune di Reggio Emilia e dai Musei Civici e dedicata a uno dei più importanti artisti reggiani del secolo scorso (Reggio Emilia, 3 novembre 1912 – 25 luglio 2002), di cui ricorrono in questo 2022 i centodieci anni dalla nascita e i venti dalla morte. L’esposizione, a cura di Sandro Parmiggiani e visitabile fino al prossimo 27 novembre, presenta cinquanta opere dell’artista realizzate dagli anni Trenta fino al termine del Novecento: una selezione che, pur nella ristrettezza dei locali a disposizione, è rappresentativa di alcuni tratti e motivi del percorso di Gandini, e delle tecniche cui l’artista si dedicò (i dipinti a olio, i disegni e le incisioni, tecnica in cui Gandini fu davvero un petit maître).
Le opere in mostra – di proprietà dei Musei civici di Reggio e della famiglia degli eredi – vanno dai ritratti figurativi degli esordi agli scorci della città che andava cambiando negli anni dell’immediato dopoguerra, fino ai motivi cari a Gandini nel corso di tutta la sua attività tra cui i paesaggi dell’Appenino reggiano (in cui, a Bergonzano di Quattro Castella, nei pressi della Chiesa della Madonna della Battaglia, Gino e la moglie Rina Ferri si fecero costruire una casa di campagna), indagati nelle stagioni dell’anno (in particolare, quando la neve tutto ammanta di bianco e di silenzio); i paesaggi del Po, in cui si coglie il richiamo e il fascino perennemente esercitati su di lui dal Grande Fiume; le nature morte; gli autoritratti e i ritratti della moglie.
Gino Gandini amava dipingere en plein air; Stanislao Farri, il grande fotografo reggiano scomparso il 22 giugno del 2021, amico di Gandini fin da quando si erano conosciuti, nel corso della guerra, a Bibbiano (dove il pittore era sfollato), ricordava spesso di averlo incontrarlo – durante le incursioni per scattare le sue fotografie – mentre Gino dipingeva, in piedi o seduto al cavalletto, talvolta riparandosi dal sole cocente sotto un ombrello, sulla sommità di una collina dell’Appennino o davanti a uno scorcio del Po.
Scrive Sandro Parmiggiani: “Gandini amava i paesaggi della sua terra, immersi nel silenzio di una natura avvolta dai vapori e dalla luce che tutto inonda e che rivela i colori con i quali le stagioni rivestono ciò che è vivente e ciò che se ne sta immoto e silente: momenti in cui la persona, e lui stesso, il pittore – una presenza minuscola dentro il grande spazio che ovunque si respira – trova, nel rapporto diretto con la natura, l’autentica verità dell’essere. Gandini ha indagato il volto delle nostre terre – e dei luoghi, il mare e il lago, che frequentava nell’estate – dentro il mutare delle luci e delle stagioni, con una sorta di taglio fotografico e con un occhio ‘orientale’ che punta all’essenza, consentendoci di finalmente ‘vedere’, in particolare il nostro paesaggio, troppo spesso fuggevolmente guardato senza mai penetrarne l’autenticità e la bellezza segrete. I paesaggi e le nature morte di Gino Gandini sono intrisi di una latente malinconia esistenziale, ed ecco che il pittore sceglie di sintetizzare, e rendere in toni lievi, le forme che se ne stanno davanti a lui.”
“Sarebbe sbagliato – continua Parmiggiani – definire Gandini un pittore ‘realista’: lui non si limitava a ‘riprodurre’, magari esasperando qualche elemento, ciò che aveva davanti agli occhi, ma tendeva all’essenziale, per ricercare e ordinare, dentro il grande libro della natura, i rapporti tra pieni e vuoti, tra spazio e forma, nella sinfonia degli infiniti accordi tonali possibili. Gandini aveva introiettato, fin dagli anni all’Accademia di Bologna, la lezione di eleganza formale e di armonia dei toni di Morandi, e l’ossessione della luce di Guidi, e ha dimostrato di non essere insensibile ad altre ricerche – si pensi al Nicolas De Staël dei dipinti ultimi, in cui la forma non è che un fiotto danzante di colore-luce, e a certi esiti di Roberto Melli.”
Scrive ancora il curatore: “Di fronte alle opere di Gino Gandini, è utile ricordare ciò che diceva Glenn Gould, l’ineguagliato pianista canadese: ‘Lo scopo dell’arte non è la somministrazione di una momentanea iniezione di adrenalina. Piuttosto la graduale, paziente e duratura costruzione di uno stato interiore di meraviglia e di serenità’. Le opere di Gandini, quando vi si passi accanto e si accetti di soffermarvisi, ci restituiscono un modo di vedere che ci aiuta a costruire un sentimento della visione e un’‘educazione sentimentale’ capaci di cogliere qualche elemento dell’essenza, spesso inafferrabile, della vita.”
La mostra è visitabile a ingresso libero dal 22 ottobre al 27 novembre nei seguenti orari di apertura: martedì, mercoledì, giovedì e venerdì, dalle 15 alle 18;
sabato, domenica e festivi, dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18.
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Stato di abbandono? Io direi più atti di vandalismo...
Sono sempre più vergognosi senza un briciolo di pudore ,superpagati per scaldare le poltrone e non per risolvere i problemi reali della gente !
La sinistra vuole solo governare non pensa le cose importanti per gli italiani anche se non è in grado di farl: pur di avere voti […]