Il ‘Modello reggiano’ che resse fino al 1921

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Il Comune di Reggio Emilia fu uno dei primi in Italia a essere conquistato dai socialisti. Della vita municipale La Giustizia informò quotidianamente la cittadinanza, perché potesse partecipare attivamente alle scelte compiute o a quelle da compiere. Tutto il modello socialista ruotò attorno al concetto di autonomia amministrativa, come a sottolineare l’esistenza di un articolato sistema, che ambiva a essere d’esempio e guida allo Stato centrale. Si trattò, almeno nel caso di Reggio Emilia, di un municipalismo laico con una forte propensione alla diffusione della cultura popolare e della sanità. Un laicismo fondato su valori di tolleranza, di rispetto della persona umana, di acquisizione di una dimensione collettiva della vita, di una capacità di individuare le iniziative per la propria emancipazione.

Nino Prandi (1895-1991), (il terzo da sinistra) fondatore con Arturo Nironi della omonima libreria, luogo storico di incontro degli antifascisti reggiani, socialista prampoliniano, membro del Comando Piazza, arrestato e condannato a morte. Nel dopoguerra proseguì la sua intensa attività culturale e artistica nel settore librario.

Nuovi e innovativi furono di conseguenza i rapporti con le altre organizzazioni economiche e sociali esistenti sul territorio.
Nel rapporto con il sindacato, il comune socialista svolse un indispensabile ruolo di sostegno: stipulò accordi di lavoro, fornì indicazioni sulle domande e sulle offerte di occupazione, come un moderno ufficio di collocamento.

Il Comune di Reggio fu poi tra le prime amministrazioni d’Italia a firmare un accordo per gli impiegati che, contrariamente al passato, vennero assunti a tempo indeterminato dopo 2-4 anni di prova, assicurando, in caso di morte, alla famiglia una pensione annua.
Se fra la CdL, l’amministrazione pubblica e il movimento cooperativo intercorse sempre un dialogo costante e collaborativo. Oltre all’obiettivo occupazionale, si pose con forza il tema di connettere le nuove attività imprenditoriali con le esigenze dei servizi/lavori pubblici e dei consumatori. Così in effetti accadde per la costruzione della ferrovia Reggio-Ciano d’Enza. Si realizzò di conseguenza un circuito virtuoso, che partendo dalla assoluta condivisione degli obiettivi, giunse a giustificare anche l’avvicendamento e l’integrazione degli stessi quadri alla guida delle diverse organizzazioni. Anche per quel motivo, ma soprattutto per i risultati conseguiti, l’esperimento della “cittadella rossa” reggiana venne considerato come il “modello amministrativo riformista” da prendere ad esempio.

Le linee guida dell’amministrazione socialista perseguirono sempre una più equa riforma finanziaria progressiva, le municipalizzazioni della luce, del gas e delle farmacie, la diffusione dell’istruzione elementare, l’assistenza pubblica, la lotta alla disoccupazione, la politica abitativa con la costruzione di case popolari e la sanità pubblica. Notevoli energie vennero dedicate anche alla diffusione della rete fognaria, alla revisione della viabilità e all’estensione della rete telefonica nelle ville.

Scrisse La Giustizia del 28 giugno 1914: “I Comuni vanno sensibilmente rinnovando e allargando il patrimonio delle loro funzioni sociali. Molte leggi protettive del lavoro non possono prescindere dall’intervento del Comune… Molte funzioni d’indole sociale si addicono al Comune più che allo Stato…perché il Comune è tradizionalmente portato ad assumere funzioni di tutela sui cittadini, prima che la grande macchina dello Stato ne abbia sentita la necessità.
Di qui la formazione di un Comune moderno, il quale non esercita che pochi residui delle sue funzioni storiche”.

La politica socialista del governo locale ha avuto il grande merito d’avvicinare alla cosa pubblica masse fino ad allora sfiduciate, estranee e disinteressate, creando una nuova figura di cittadino, che si ergeva per la prima volta a protagonista della vita sociale e civile della città.

La forza propulsiva e innovativa del municipalismo socialista cominciò a indebolirsi con il deterioramento del quadro politico giolittiano, che La Giustizia denunciò più volte a partire dalla guerra libica nel 1911-12 e con l’emergere di nuove correnti politiche e filosofiche idealiste e nazionaliste nei confronti delle quali i socialisti reggiani avevano sempre polemizzato.

L’inizio della fine fu però decretata dalla Prima guerra mondiale, quando caddero tutte le certezze, anche con il crollo della II Internazionale, sull’avvento del socialismo. Il “Modello reggiano” resse fino al 1921, quando con il dilagare dello squadrismo fascista, si arrivò all’assalto dei comuni e alla destituzione di tutte amministrazioni socialiste.
Come alcuni storici affermano, allora iniziò il tempo del socialismo possibile e finì quello del socialismo certo e inevitabile.