Il luogo dei dormienti

don Giuseppe Dossetti Centro Giovanni XXIII Reggio Emilia

In questi giorni, si visitano i cimiteri, senza peraltro accorgersi del paradosso contenuto nel nome. Infatti, “cimitero” è parola che deriva dal greco e vuol dire, alla lettera, “luogo dei dormienti”, quasi riprendendo una parola di Gesù, davanti alla bimba morta: “Non è morta, ma dorme!” (Mc 5,39). Nulla di strano se i presenti lo sbeffeggiano. Dunque, anche gli homines religiosi, come certamente erano gli abitanti di Cafarnao, trovano indigesto questo articolo di fede. D’altra parte, esso appare necessario, per difendere la libertà di Dio e la dignità dell’uomo.

La fede nella risurrezione non era pacificamente accettata dagli ebrei del tempo di Gesù. Essa era stata professata esplicitamente solo un paio di secoli prima e la corrente razionalista dei sadducei (una specie di High Church, alla quale appartenevano le grandi famiglie sacerdotali) la contestava. Si immaginavano conseguenze ridicole, come quelle che vengono sottoposte al Maestro di Nazareth (Lc 22,27 ss.), oppure veniva usato l’argomento “d’autorità”: i sadducei ammettevano l’autorità soltanto dei primi cinque libri delle Scritture, la Torah, il Pentateuco: e in essi, effettivamente, di risurrezione non si parla. L’argomento ex auctoritate era decisivo, e Gesù accetta di sottoporsi a questa regola.

Egli cita una parola del libro dell’Esodo, il secondo del Pentateuco: “Che i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe (Es 3,6). Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”(Lc 20,37 s.).

L’argomentazione di Gesù è un po’ difficile per un non ebreo. Dietro di essa, sta la fede, centrale nell’ebraismo, dell’alleanza tra Dio e l’uomo. Essa si esprime con la formula: “Io sono il vostro Dio e voi siete il mio popolo”, cioè un’appartenenza reciproca, che è eterna, perché fondata sulla irrevocabile volontà divina (per es. Geremia 32,40). La morte non può interrompere questo rapporto: infatti, il Dio che parla a Mosè dal roveto ardente si considera ancora legato ad Abramo, Isacco e Giacobbe, anche se essi sono morti da gran tempo. L’alleanza è ancora in essere, nonostante la morte, che mantiene il suo mistero, ma certamente non è l’ultima parola, perché i patriarchi sono ancora in relazione con il Tu, che è entrato nella loro vita.

Gesù, dunque, interpreta correttamente le Scritture. La risurrezione dei morti è una conseguenza implicita, anzi, necessaria, della fede nel Dio amante dell’uomo, nel Dio che non fa divorzio dalla sua sposa, il popolo, l’umanità, anche se essa gli è infedele. Per questo, dicevo che la fede nella risurrezione restituisce a Dio la sua libertà: egli è più grande persino delle evidenze apparentemente incontestabili.

Va detto anche che solo la fede in un Dio personale, che vuole un rapporto eterno con la sua creatura, permette di credere nella risurrezione: ecco perché soltanto l’Islam, oltre al l’Ebraismo e al Cristianesimo, la ammette. Altrove, si trovano nobili dottrine sull’immortalità dell’anima, come in Socrate, oppure si parla di reincarnazione.

E’ davvero strano che la reincarnazione sia presentata come fonte di speranza in una vita oltre la morte. Nei testi dell’Induismo, essa è un castigo, per coloro che non si sono abbastanza purificati dal karman, dal peso della propria sorte; è un nuovo giro della ruota, che ha come scopo la dissoluzione dell’io nel grande mare del tutto.

La risurrezione è invece la glorificazione dell’io, del soggetto umano. Certo, non nel senso della centralità superba di Adamo, dell’io che diventa dio, idolo. La prospettiva dev’essere quella dell’alleanza e l’alleanza ha un prezzo, che viene indicato da Gesù nell’Ultima Cena: “Questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza”. L’alleanza si fonda sul sangue, sul dono definitivo, e Gesù lo è, nel duplice senso, verso Dio e verso l’uomo. Verso l’uomo, perché egli rappresenta la decisione divina, definitiva e universale, dunque anche verso il ladrone e il pubblicano e il fariseo, per il figlio che fugge e per quello che rimane in casa nell’aridità della sua presunzione. Ma Gesù è anche il sacerdote di questa alleanza, il nuovo Mosè che introduce un popolo senza confini nella Presenza che non ha né tempo né mutamento.