I miei Maestri. La notte buia dell’anima

Soren_Kierkegaard

Arrivò il momento di lasciare la scuola materna, dove mi sentivo meglio che a casa, e la tanto amata maestra Mariarosa.
Alla scuola elementare iniziò il patimento. Ero un bambino che aveva difficoltà nella lettura; si trattava di quella che ora sarebbe classificata come una leggera dislessia e un disturbo di lateralità (confondevo la sinistra con la destra – sono ambidestro).

Gli insegnanti delle elementari, medie e superiori sapevano poco di questa difficoltà. Ciò che appariva era che avevo potenzialità, che ero molto sensibile e acuto ma anche distratto, e che facevo sempre gli stessi errori di ortografia.

I voti erano un disastro, arrancai fino alla quinta superiore. Le ripetizioni di italiano, latino, matematica, fisica, inglese… I miei pomeriggi e le mie estati erano tutte programmate.

Cercai delle vie di fuga, e fra queste trovai la natura. Fu per me un vero insegnamento, che mi fu impartito per la prima volta da Aneta, una mia prozia. Mi capitava di fare lunghe passeggiate nella natura con lei, e di sentirla parlare alle piante ed agli animali; quando stavo da lei mi sentivo protetto e ristorato, la prima Maestra della natura.
Fu proprio la natura a proteggermi dagli insuccessi scolastici. Compiuti dieci anni, io e la mia famiglia ci trasferimmo quasi in cima al paese. Eravamo ad abitare ai confini del bosco.

Ritornavo da scuola e andavo in mezzo alla natura e lì trovavo pace, il bosco mi cullava e mi consolava, costruivo case con legna e frasche e mi sentivo protetto.
In terza superiore incontrai la filosofia e tutte le altre materie passarono in secondo piano. Avevo un insegnante che era diventato il mio idolo, Giuseppe Marini, sapeva tutto. Decisi che sarei andato a studiare filosofia all’Università. I docenti lo avevano capito e non mi torturavano più, mi ero appassionato a Kierkegaard, leggevo le sue opere… letture leggere.

Fra la fine del liceo e l’inizio dell’università iniziò quello che Kierkegaard avrebbe chiamato il periodo estetico.
È la forma di vita in cui l’uomo è immediatamente ciò che è, di chi cerca l’attimo fuggente della propria realizzazione, rifiutando la monotonia e la ripetitività di ogni impegno continuato. Si tratta dell’esteta che sceglie di non scegliere, che vive la sua vita come se fosse un’opera d’arte, all’insegna della novità delle emozioni nuove.

All’Università ebbi i miei primi successi scolastici ed anche i primi amori. Fu un periodo in cui iniziai seriamente a cercare me stesso, travestendomi con vestiti strani e colore nei capelli. Avevo scoperto che modificare la propria immagine produce dei cambiamenti sugli altri. Una ragazza che avevo incontrato fu l’iniziatrice di ciò, mi fece capire che ero bello e che il vestito poteva sottolineare il mio candore.

L’estetica era un paese dei balocchi per me, poi arrivò il 26 gennaio del 2000. Quel giorno ero sceso a Padova per incontrare una cara amica che ritornava da Berlino. Mi avviai a piedi e attraversai la strada in piazza Mazzini; ero sovrappensiero, uno scooter mi bersagliò, volai sbattendo la testa al suolo e andai in coma.

Di quell’evento ho un ricordo simile ad un sogno. Divenni luce, ero della stessa altezza degli alberi, non ero localizzato e vedevo il mio corpo disteso a terra circondato da ombre di luce; poi l’autoambulanza, vedevo l’autoambulanza fuori e dentro l’abitacolo. Rientrai completamente nel mio corpo con un vomito a getto in area di emergenza. Il vomito a getto non era un buon presagio… Avevo un trauma cranico con contusione. Questo per me fu quando la notte iniziò a farsi più buia.
Furono tre anni difficili; dovevo prendere farmaci antiepilettici, pur non avendone mai avuti, per via di un focolaio dovuto alla contusione.

Ero in preda alle paure, ad esempio che venissero i ladri di notte. Vivevo la maggior parte del tempo nel terrore. Il mondo estetico “razionale” filosofico era concluso. Ero nella notte fonda e buia dove i mostri e le paranoie facevano capolino.