«Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco»

Il Vangelo della domenica

Battesimo del Signore, Anno C – 13 gennaio 2019

Dal vangelo secondo Luca (Lc 3,15-16.21-22)

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».

Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

Il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano da parte di Giovanni si colloca nella serie delle manifestazioni (o “epifanie”) del Verbo fatto carne. La prima è quella ai poveri d’Israele (i pastori), poi alle genti (i magi), poi questa e infine quella ai discepoli, quando trasforma l’acqua in vino a Cana.

Sul Giordano, Gesù viene manifestato all’universo. I segni che seguono la sua immersione nelle acque hanno un carattere cosmico. I cieli chiusi sono il simbolo della barriera che separa Dio dagli uomini, come la spada fiammeggiante del cherubino che impedisce l’accesso all’Eden; ora i cieli si aprono e la comunione tra l’uomo e Dio si ristabilisce. Poi lo Spirito creatore scende come colomba, simbolo di pace, come quella che era discesa sulle acque del diluvio; la voce celeste riempie il cosmo dell’annuncio che Dio si compiace della Sua creazione e che nel Figlio rinnova l’alleanza con l’uomo.

Abbiamo davvero bisogno che i cieli si aprano. Oggi il cielo dell’uomo sembra avere il colore grigio del ferro: il cosmo sembra una grande macchina, dove tutto è assoggettato a leggi immutabili e nemiche dell’uomo, dove prevalgono la violenza o il denaro. Ma talvolta Dio stesso sembra essere un nemico: chi si richiama a Lui per promuovere l’ordine e la giustizia non esita a uccidere, pretendendo di avere l’approvazione divina.

Perché, allora, al Giordano i cieli si aprono? Certo, c’è un popolo che va da Giovanni a farsi battezzare. Il battesimo è il riconoscimento che è necessario sottomettersi a una crisi, che c’è un confine da valicare; ma esso, come il Mar Rosso, si apre solo se il Dio della misericordia e della fedeltà scende su quelle acque. E questo è proprio quello che accade: la colomba, il segno della riconciliazione, il dono di una nuova libertà, di un nuovo inizio.

Tra il popolo è nascosto un uomo. È lui il mediatore di questa nuova alleanza. Ma anche lui si è messo in fila: egli appartiene così completamente all’umanità che un giorno assumerà in sé tutta la sofferenza del mondo. Egli però appartiene anche a Dio, così intimamente da essere da Lui chiamato Suo Figlio. Essere Figlio non è però per lui titolo di gloria e di potere, bensì di una maggiore, estrema consegna di sé.

Gesù prega, mentre risale dall’acqua, simbolo della morte: il contenuto di questa preghiera lo conosciamo, è quello del Getsemani, dell’Orto degli Ulivi: “Padre, se è possibile, passi da me questo calice amaro; però, non la mia, ma la tua volontà si compia”. Il nuovo Adamo ha scelto: non il potere, non l’assoluta disponibilità di se stesso, ma l’amore fino alla morte.

Egli anticipa nel simbolo dell’immersione quello che si compirà sulla croce rizzata fuori dalla porta di Gerusalemme. Così facendo, egli rivela il volto di Dio.

Il Dio d’Israele, il Dio di Gesù non risponde a chi vorrebbe che Egli mettesse ordine nel mondo; non dà neanche un’investitura a dei rappresentanti, che promuovano con tutti i mezzi la Sua causa. La sua dichiarazione – “Tu sei il Figlio mio, l’amato” – annuncia il suo estremo coinvolgimento con la sofferenza e la morte del Figlio; nello stesso tempo, è l’offerta al mondo di questo “Figlio amato”, inerme nella mangiatoia e ancora di più sulla croce. Il Figlio assorbe così tutto il male, l’odio, la violenza, compresa quella religiosa, che si rivela allora come la massima bestemmia.

È vero: egli non dà una risposta alle domande dell’uomo, in particolare a quella più atroce, quella che riguarda il dolore innocente. La risposta la dobbiamo trovare noi, ciascuno per sé, e non dev’essere una risposta ideologica, proferita in un convegno filosofico o in un salotto; la risposta che dobbiamo trovare impegna la nostra vita, richiede tutta la nostra vita, poiché si tratta di rispondere, di accettare o respingere l’offerta che ci viene rivolta.

È vero, possiamo dire di no, anzi possiamo scrollare le spalle, dicendo che ci basta molto meno, un po’ di tranquillità e di benessere, e che un crocifisso in più non cambia la storia, fatta di tanti, troppi crocifissi. Eppure rimane la nostalgia di un Tu più grande, di una parola che ogni mattina rinnovi e sostenga la nostra ricerca di dignità e di giustizia, che abbatta le barriere tra gli uomini e ci parli di perdono, con la tenerezza materna che non si spaventa di fronte al rifiuto.

Forse Giovanni il Battista pensava al fuoco del giudizio, quando annunziava colui che era più forte; Gesù è venuto ad accendere il fuoco divampante dello Spirito, che è amore e consolazione, speranza e coraggio.