Editoriale. Una certa idea della guerra

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Ci stanno abituando all’idea della guerra. Ci stiamo abituando all’idea della guerra. Non la guerra interiore, di cui parleremo volentieri in altra occasione, nella sua forma di natura filosofica e psicologica. Parliamo della guerra nella sua dimensione politica e materiale. Il conflitto, lo scontro, l’orrore, il male della sua forma più esplicita ed estesa. Stiamo camminando velocemente verso il baratro. Verso ciò che la mia generazione e quelle successive non hanno neppure avuto modo di rappresentare a se stesse attraverso la condizione esistenziale che ne stabilisce la presenza, di cui imparammo qualcosa dai nostri nonni e bisnonni. Possiamo rappresentare a noi stessi il videogame, il cinema, la dimensione ludica e agonistica dello scontro. Ma qui è in gioco tutt’altro. La civiltà, nemmeno la pace. La vita nelle sue forme naturali. La sopravvivenza della specie umana e del pianeta.

Ho provato brividi nell’ascoltare la vedova Navalny tenere lezione di geopolitica a un Parlamento Europeo schierato sull’attenti, plaudente senza battere ciglio nel farsi spiegare come combattere la Russia. Non tanto per il suo diritto di parola, ci mancherebbe, ma per la condizione di subalternità psico-politica dei rappresentanti del continente europeo. L’Europa dei popoli, la storia del pensiero, il luogo di creazione della cultura occidentale. Le radici, le basi. Dove è svanito tutto ciò? Abbiamo ancora consapevolezza di noi stessi? Esistiamo ancora nel ventunesimo secolo, seppure invecchiati, superati, spesso considerati persino inutili?

Quando Ursula von der Leyen evoca la preparazione ad un’ennesima guerra in Europa, ciò che è impensabile o almeno dovrebbe esserlo, non parla per propria vocazione individuale guerrafondaia. Evoca ciò che altrove viene evidentemente meditato, ipotizzato, certamente organizzato. La martellante campagna propagandistica cui stiamo assistendo nostro malgrado, volta a rendere plausibile e non più estranea la possibilità reale di un ricorso alle armi su larga scala tale da portarci sull’orlo dell’abisso, è finalizzata alla costruzione della figura di un nemico insostenibile, inaccettabile, mostruoso, e alla ridefinizione del nostro ruolo in codesta parte del mondo.

Il Pentagono (il Pentagono!) avvisa che toccherà agli europei fare la guerra ai russi. Il presidente francese Macron si dice pronto a schierare forze militari in Ucraina a fianco di Zelensky. Si stanno creando le condizioni per obbligare moralmente e politicamente i cittadini europei, e di conseguenza i loro governi, a considerare la necessità di avvicinarsi a una guerra guerreggiata. Perché Putin, si dice, è uguale a Hitler. Anche se la Russia nella storia ha sempre fatto la Russia, aiutando l’Europa a sopravvivere ai propri disgraziati invasori, anche se nelle regioni ucraine contese la maggioranza degli abitanti è di etnia, lingua e cultura russe, anche se il capo del Cremlino e il suo popolo non ha alcun interesse strategico, politico ed economico a litigare con l’Europa. La Russia ha perduto venticinque milioni di soldati nella seconda guerra mondiale per salvare l’Europa dalla barbarie di Hitler e Mussolini.

Dalle macerie dell’Urss, al termine di un decennio di disordini e rapine, dove il capitalismo selvaggio e la rapacità degli oligarchi furono garantiti dai governi corrotti coperti da Eltsin e dall’Occidente con i propri famelici interessi, Putin è stato in grado di riportare quell’immensa federazione di spazi e di popoli a una condizione decorosa di sopravvivenza e dignità. Avete esperienza di Russia? Fonti dirette? Vita vissuta? Se così fosse, la dimensione delle cose vista da laggiù vi racconterebbe una storia e una visione completamente diversa da quelle che osserviamo in Italia.

L’invasione di parte dell’Ucraina avviata da Putin è accettabile? Certo che no. La guerra è il male. Lo è sempre, secondo le fondamenta di ogni civiltà che ambisca a considerarsi tale. Ma la risposta al male non è altro male. La risposta al male è la comprensione del bene e le ricerca irriducibile della pacificazione attraverso il riconoscimento dell’altro in sé stesso, e viceversa. Non credo sia banale fare riferimento al personalismo maritainiano cui si ispirò la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo per definire il compito attivo della non violenza come pratica di portata teleologica. La pace è la descrizione di un soggetto, di una profondità intersoggettiva. La non violenza è ciò che accade prima e si situa come precondizione di metodo affinché la pace avvenga.

Liberiamoci dalla follia dei guerrafondai. Rifiutiamo di concedere spazio alla guerra nelle nostre coscienze. Isoliamo la percezione del nemico e impariamo a domarne gli effetti nefasti. I popoli possono sconfiggere le tentazioni del potere, dell’avidità, dello sfruttamento, dell’egoismo vanamente narcisistico. E ricordiamo che i popoli non esistono in sé stessi, ma si costituiscono a condizione che vi siano millemila singolarità che sappiano scegliere e definire ciò che le unisce. Non è questione di classe, come sosteneva il fallimentare esperimento marxista-leninista. Senza la consapevolezza della propria individualità, e il riconoscimento dell’unicità assoluta di ogni forma di vita, e a maggior ragione la comprensione del senso esistenziale di se stesso, nessuno ha mai conquistato la felicità, e neppure la soddisfazione di una semplice vita tranquilla.




C'è 1 Commento

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  1. paolo

    Noto Direttore, che anche lei ,come altri suoi colleghi del resto, ha preso coscienza dell’abisso in cui ci hanno trascinati, perchè purtroppo noi nel baratro ci siamo già ora .
    Non vediamo ancora le bombe e i morti nelle nostre strade , ma la campagna di delegittimazione delle Autorità Transnazionali (Onu e Papa in primis) ha sortito i suoi effetti, sciaguratamente è solo questione di tempo.
    L’Europa è oramai ridotta ad un tragicomico agglomerato di pletore istituzionali ,non si capisce quanto consapevoli dell’evolversi degli eventi, destinata a sfasciarsi nel momento in cui ci sarà cognizione piena della tragedia.
    Certo faccio ancora fatica a capire il perchè lei come tanti suoi colleghi, tutt’ora tendano a sminuire la portata di manifestazioni come quella della scorsa settimana, in cui la gente non è scesa in piazza per vocazione politica , ma per un rifiuto stomachevole di quanto sta avvenendo, un rifiuto totale della guerra e della violenza in ogni sua forma.
    E’ vero, c’è stata poca partecipazione a livello numerico, ma questo forse proprio perchè la cosiddetta libertà di espressione e di opinione di cui si autoincensa l’occidente per certificare la superiorità delle nostre Democrazie nei confronti delle Autocrazie non è tale, mistificando agli occhi dell’Opinione Pubblica l’epilogo inconfutabile dello scontro Geopolitico in atto.
    Negli ultimi anni và di moda dare il Nobel per la Pace ai dissidenti politici dei paesi appartenenti al blocco cosiddetto Autarchico, dimenticando forse che Alfred Nobel raggiunse l’apice per notorietà e guadagni inventando la Dinamite e che lo stesso premio per la Pace viene, al contrario degli altri Nobel, assegnato in Norvegia ,anzichè in Svezia , da un comitato composto da 5 componenti del parlamento Norvegese, quel Parlamento di cui Jens Stoltenberg fino al 2014 è stato membro e primo ministro .
    Tutto questo per reclamare come Cittadino Italiano ed Europeo la necessità che si torni a parlare e a scrivere di Pace , di cui c’è un gran bisogno, e di Mediazione Politica e Culturale, mettendo al bando la Propaganda almeno da parte di chi può ancora scrivere e parlare senza la paura di essere inserito in liste di proscrizione di triste memoria o addirittura essere  inviato sotto processo. Qualcuno deve Iniziare, chi ha la penna per farlo ha più responsabilità di altri.


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