Editoriale. Il salto di qualità

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Alla fine, com’era ampiamente previsto, c’è scappato il morto. Un ragazzo di diciotto anni, tunisino, verosimilmente implicato nella guerra per bande che da mesi ha visto alzarsi il livello dello scontro tra gruppi etnici rivali e bande dedite allo spaccio di droga e di attività illecite. La tragedia è avvenuta in terra straniera, poiché non è ragionevolmente possibile considerare territorio italiano l’intera zona che circonda la stazione vecchia di Reggio Emilia: non esiste lo Stato, non ci sono le forze dell’ordine, non c’è la pubblica amministrazione. Anziché cercare facili applausi facendosi riprendere su Instagram mentre mostra il lavoro notturno degli operai che asfaltano qualche strada disastrata, il sindaco avrebbe potuto fare di meglio recandosi in stazione alla ricerca di quel che resta di un largo quartiere sottratto ai reggiani dalla criminalità più o meno organizzata.

Il problema esiste da almeno vent’anni, ma ogni mese che passa si aggrava. Ora siamo a un salto di qualità. Le bande hanno preso ad ammazzarsi. Del resto, il posto di polizia ferroviaria è scomparso da una vita e il Comune ripete come un disco rotto che in zona troverà sede la polizia locale, come se una palazzina di impiegati possa spaventare gruppi criminali che combattono per il malaffare e il controllo del territorio.
C’è chi riduce la questione a un effetto collaterale della smisurata immigrazione multietnica vissuta a Reggio Emilia nel trentennio 1980-2010. Non vi è dubbio che si tratti di una concausa. Ma quel che la politica non riesce a capire – per pavidità, per interesse, per carrierismo – sono gli effetti subiti dai reggiani e dalle reggiane che ormai hanno smesso di frequentare una stazione terra di nessuno, dove avventurarsi è pericoloso e dove domina la criminalità, anche la più grave. Le forze dell’ordine conoscono il tessuto del malaffare nel quartiere che si irradia da viale IV Novembre sino all’intero quadrante nord-est del centro storico. Ma non intervengono perché manca la volontà politica di effettuare una bonifica della zona come si deve. Gli slogan autocelebrativi di una città “delle persone”, una città “creativa” dove si allarga la sfera “dei diritti” risuonano come vacua propaganda dinanzi alla realtà quotidiana dei cittadini alle prese con gravissimi problemi mai conosciuti in passato con tanta gravità. E la negazione di questo autentico diritto civile, la sicurezza del poter vivere nella propria città, grava sulle spalle di chi preferisce tagliare nastri anziché affrontare le sfide più difficili.