Convegno Confcoop con De Castro: Parmigiano-Reggiano, successo dei piani produttivi

Paolo DE CASTRO

Sebbene non esistano quotazioni “ufficiali”, è stimabile in due miliardi di euro l’attuale valore delle quote latte per il Parmigiano Reggiano, ovvero il patrimonio che i produttori di latte del comprensorio detengono a vent’anni dall’entrata in vigore di un sistema di autoregolamentazione introdotto per stabilire una più stretta relazione tra la produzione del “re” dei formaggi e l’andamento dei mercati.

Un meccanismo adottato in anni di pesante crisi del Parmigiano Reggiano (al di sotto dei 7 euro al chilo la quotazione di allora), imputata principalmente proprio alla mancata autoregolamentazione dei flussi e, di conseguenza, a periodiche eccedenze di produzione che andavano a deprimere i prezzi.

Un ampio spaccato di questi vent’anni è emerso dal convegno che Confcooperative Terre d’Emilia ha tenuto nella sede reggiana di Largo Gerra, dove in analisi, approfondimenti e previsioni si sono alternati il presidente della centrale cooperativa, Matteo Caramaschi, il responsabile delle coop agricole e agroalimentari reggiane, Alberto Lasagni, il direttore del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Riccardo Deserti, Claudio Pesce, direttore commerciale del Consorzio Virgilio e l’on. Paolo De Castro, membro della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo.

L’assegnazione delle quote ai produttori – come è emerso – rappresenta un punto di forza del sistema Parmigiano Reggiano, perché ha generato valore reale a beneficio dei produttori, anche attraverso quella possibilità di compravendita delle quote (non di rado utilizzate anche come forma di garanzia reale nei confronti degli istituti di credito) che negli ultimi dieci anni si è tradotto nella transazione di 5,67 milioni di quote, cioè quasi il 30% del totale.

Gli effetti positivi del meccanismo di autoregolamentazione (e nella sala convegni di Confcooperative Terre d’Emilia erano presenti i presidenti del Consorzio del Parmigiano Reggiano che ne furono artefici nei primi tre lustri: Andrea Bonati, Giuseppe Alai e Alessandro Bezzi) sono stati, comunque, ben più ampi.

Innanzitutto perché le quote sono state introdotte per orientare il comparto ad uno sviluppo che si è effettivamente realizzato, con il passaggio dai poco più di tre milioni di forme indicate nel primo piano produttivo agli oltre 4 milioni attuali); contestualmente si è giunti ad una maggiore stabilità delle quotazioni, al freno delle speculazioni, allo stop all’ingresso nel settore di soggetti esterni al sistema Parmigiano Reggiano e ad una più forte tutela anche di aree più fragili, come la montagna.

Un successo, in sostanza (inimmaginabile agli esordi, ma fortemente trainato della cooperazione), che ha anche consentito (con il meccanismo della contribuzione aggiuntiva a carico di quanti annualmente non rispettano le quote) di generare nuove e ingenti risorse (108 milioni di euro nell’ultimo decennio) a disposizione del Consorzio di tutela per rafforzare le azioni di sviluppo della domanda sia sul mercato interno che su quelli internazionali e anche per arrivare a costituire una “riserva” per eventuali interventi di ritiro a sostegno del mercato.

Insieme ai piani produttivi, in prospettiva il Parmigiano Reggiano potrà contare, in termini di tenuta e sviluppo, sul nuovo regolamento UE per Dop e Igp (che assegna un ruolo fondamentale ai consorzi di tutela, come ha ricordato l’on De Castro al convegno di Confcooperative Terre d’Emilia) e sui suoi meccanismi di tutela rafforzata, cercando nel contempo nuove alleanze commerciali sui mercati internazionali (meno sensibili, soprattutto in Italia, i giovani consumatori riguardo ai prodotti stagionati) e su quel canale Horeca che continuerà a crescere (hotel restaurant e catering) e, almeno per un lungo periodo, non segnerà arretramenti.



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