Sono trascorsi trentuno anni e sembra ieri. Impossibile dimenticare le adunate festanti sul bordo del Muro che ingabbiava la parte occidentale di Berlino, simbolo di prigionia inconcepibile per quella fetta di tedeschi costretti dai dettami di Yalta all’appartenenza al blocco orientale.
Cadde il Muro, o meglio venne demolito, e con esso se ne andò la Guerra Fredda almeno per noi boomer che l’avevamo appena conosciuta come conseguenza pericolosa ma inevitabile, secondo i racconti dei nostri padri: sempre meglio fredda che calda, la tragedia bellica, anche in una corsa agli armamenti nucleari dei quali si nutriva e si nutre un soverchio terrore.
Quella sera a Berlino si poteva pensare che con il Muro sarebbero cadute le incomprensioni e le distanze di milioni di europei desiderosi infine di chiuderla davvero, questa faglia che divideva dal ‘45 l’Est dall’Ovest. Si poteva immaginare di tutto perché una volta di più, nel tortuoso divenire della storia, la libertà aveva prevalso sull’oppressione, il Bene sul Male, la democrazia sul totalitarismo. E che ciò fosse accaduto proprio a Berlino, solo pochi decenni dopo le sciagure devastanti del nazismo, spinse taluno a ritenere che la storia fosse finita. Ossia che non vi fosse più nulla in grado di opporsi all’avanzata progressiva della società liberale fondata sui principi del libero scambio e di mercato.
Si sgretolò il Muro e, con esso, la lunga vicenda del comunismo sovietico che tanta parte aveva avuto sul destino del mondo dall’ottobre del ‘17 in poi. L’Urss sopravvisse un paio d’anni ma nemmeno i tentativi di riforma interna prospettati da Gorbaciov riuscirono a nascondere la gravità del male che si era impossessato del sistema sino a renderlo asfittico e moribondo.
L’ubriacatura di capitalismo arrembante che segnò la successiva era Eltsin negli anni Novanta convinse i russi a tornare sui propri passi, recuperando nel segno di un rinnovato nazionalismo i guai combinati in breve tempo dalla rapace iniziativa mercatista e corrotta.
Ma questo avvenne dopo. In quel 9 novembre in cui il portavoce del governo della Ddr Günther Schabowski annunciò quasi per sbaglio in conferenza stampa la fine del divieto per i cittadini tedeschi orientali di recarsi ove volessero, Berlino Ovest compresa, la sensazione nell’Europa occidentale fu quella di assistere al finale di una favola nella quale i buoni avessero vinto e i cattivi fossero stati sconfitti. Per molti fu una conferma e per altri, a iniziare dai partiti comunisti europei, si trattò di cambiare nome, pelle, forma mentis. Il percorso non fu breve prima di approdare a una forza di sinistra moderata che si sentisse a tutti gli effetti “democratica”. In Italia, grazie al sostegno della ex sinistra democristiana, vi si arrivò con l’Ulivo di Romano Prodi.
Avevamo ragione, in quella notte berlinese, di sognare che perfino l’impossibile potesse diventare realtà? No. Quell’illusione non durò a lungo. La sconfitta del comunismo e il progressivo avvento della globalizzazione fecero sì che nell’Occidente vincitore prevalessero le pulsioni conquistatrici sugli avversari di ieri.
I think tank americani progettavano apertamente una ex Urss divisa in tre aree di influenza: una controllata dalla Nato in area europea, una fascia centrale di ispirazione islamica e un Far East da assegnare ai cinesi. Quando si guarda oggi a Vladimir Putin come a un Trump qualsiasi sarebbe bene osservare la realtà con gli occhi di un russo. Il cosiddetto Zar ha rimesso in piedi il più vasto paese del mondo nel volgere di pochi anni e lo ha letteralmente salvato dagli imperialismi cinesi e americani.
Non abbiamo speso bene questi trentuno anni dalla caduta del Muro di Berlino. Da portatori di libertà, quali europei, ci siamo baloccati nell’assistere alla prosecuzione della storia senza fare tesoro dei suoi insegnamenti. Ora abbiamo un altro Est di cui non essere amici, una Unione continentale densa di nazionalismi, un peso geopolitico pressoché irrilevante. E una nuova superpotenza totalitaria che già contende agli Stati Uniti il primato nel mondo.
Il sogno di una grande e pacifica Europa potenza civile, economica e culturale si staglia sempre più lontano nell’orizzonte degli eventi. Ci sarà sempre un altro muro da abbattere. Chissà se sarà quello giusto.
Ultimi commenti
Hanno perso.La liberazione è vvina
si certo, infatti adesso cella diventerà meta turistica di alto livello....
Ma a nessuno ha infastidito la sorridente e gioiosa presenza del Sindaco e dell'Assessore Bonvicini all'abbattimento di quel monumento dello spreco di risorse pubbliche e […]