Anche la Cgil aderisce allo sciopero nazionale dei rider del 26 marzo: “Non ordinate sulle piattaforme”

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La rete nazionale RiderXiDiritti ha proclamato per la giornata di venerdì 26 marzo il #NoDeliveryDay, invitando i clienti delle piattaforme di consegna a domicilio a rinunciare per 24 ore alle chiamate per farsi portare direttamente a casa pasti pronti e acquisti di ogni genere. La mobilitazione intende rivendicare maggiori tutele e diritti per i rider e chiedere retribuzioni adeguate.

Alla protesta ha aderito anche la Cgil, che da anni è parte attiva nei tavoli nazionali con il Ministero del lavoro e con l’associazione di categoria Assodelivery: “È uno sciopero sacrosanto, perché ancora oggi non siamo riusciti a ottenere per questi lavoratori quello che da tempo rivendichiamo: l’applicazione di un contratto nazionale vero, a partire da quello delle merci e della logistica, e il riconoscimento di un’attività lavorativa che non può essere derubricata a “lavoretto” ma al contrario, come abbiamo visto nei mesi duri del lockdown, si è dimostrata essenziale”, ha sottolineato il segretario della Filt-Cgil di Reggio Marco Righi.

A Reggio sono circa una cinquantina i rider, impiegati con rotazione costante: “Non sono i numeri delle grandi città ma raccontano un fenomeno in espansione che necessita con urgenza di una regolamentazione certa, a partire dalla correttezza dell’applicazione del contratto nazionale di lavoro”, ha spiegato il sindacato.

Proprio mercoledì 24 marzo, a due giorni dalla mobilitazione, è stato raggiunto un primo significativo risultato con la sottoscrizione di un protocollo tra sindacati e aziende del delivery, condiviso con il Ministero del lavoro, per contrastare i fenomeni di caporalato digitale, ma per il segretario generale della Cgil reggiana Cristian Sesena “è solo un primo passo verso l’emersione di un settore in cui le condizioni di chi lavora sono precarie, in cui anche per effetto di un accordo collettivo illegittimo sottoscritto con la sola Ugl vige ancora il cottimo”.

Lo sciopero del 26 marzo, quindi, “si colloca in un momento in cui va tenuta alta l’attenzione e serve a riavviare le trattative arenate sull’indisponibilità delle imprese del food delivery, che continuano a trincerarsi dietro una presunta autonomia di un lavoro che, nei fatti, autonomo non è mai. Invitiamo i cittadini a non ordinare sulle app delle piattaforme. Dietro a un banale click si nasconde una catena di sfruttamento che anche il consumatore può contribuire a spezzare”.