Vivere in zona arancione

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Vivere in zona arancione non è molto diverso da vivere in zona rossa o addirittura in un regime conclamato di lockdown. I cittadini sembrano rispondere con diligenza alle misure implementate dal governo. Sabato scorso erano tutti fuori per celebrare l’ultimo giorno libero prima del blocco, tra acquisti, scorte alimentari e aperitivi. La ripresa del lunedì somiglia a quelle del primo lockdown: diminuisce il traffico, c’è poca gente in giro, alla vista mancano soprattutto gli studenti.

È la settimana del black friday. In condizioni normali i negozi sarebbero già presi d’assalto per approfittare degli sconti anticipati. L’evento va ugualmente in onda ma alle nuove condizioni, ovvero online. Molti brand vendono via e-commerce e le grandi catene della distribuzione piazzano sul web quanto di meglio e più conveniente possibile. Già si osservano fenomeni che saranno la normalità in futuro. Il commercio vivrà in rete ma i negozi non cesseranno di esistere, soprattutto in alcuni segmenti ai quali la presenza è indispensabile (anzitutto, l’alimentare). Anche per entrare più in fretta nel futuro le famiglie si attrezzano per migliorare la propria potenza digitale domestica. Nuovi pc, notebook, tablet, cellulari, sistemi wi-fi: in tempi di pandemia il digitale casalingo non riguarda solo lo svago ma anche il lavoro e gran parte della vita sociale. Indispensabile essere preparati.

L’impatto della seconda ondata ha prodotto effetti più prosaici della prima, quando venne messa in risalto la reazione romantica di un’Italia alla finestra con canti e chitarre e un senso patriottico più accentuato del solito. Questa volta niente canzoni e niente cartelli “andrà tutto bene”. Non va bene niente o quasi: gli italiani se ne sono accorti man mano che i mesi passavano, guardando anche agli altri paesi travolti dalla pandemia, e ora accettano le chiusure forzate con spirito ordinato e rassegnato (a parte le rare manifestazioni negazioniste, di norma organizzate da forze di estrema destra, o quelle su cui monta la criminalità organizzata, come è avvenuto a Napoli).

Non potendosi incontrare di persona ci si affida ai media e ai social network, dove notizie e previsioni si rincorrono affrontando i temi più caldi. Se, quando e come arriverà il vaccino è ovviamente tra le questioni più ricorrenti.

Al momento l’ipotesi più accreditata, benedetta anche dal premier Conte, riguarda una prima disponibilità del vaccino Pfizer nella misura di un milione e 800mila dosi in arrivo entro gennaio-febbraio e destinata a medici, sanitari e pazienti più a rischio.

Come sarà possibile distribuire sessanta milioni di vaccini da trasportare a meno 80 gradi è faccenda che riguarda il super-commissario Arcuri. Nell’attesa, il virologo americano Fauci ci avverte che distanziamento e mascherine ci accompagneranno ancora per molti anni sino a diventare un’abitudine permanente e il nostrano Crisanti prevede che dalla pandemia non saremo fuori prima dell’inizio del 2021, perlomeno in Italia.

Si discute molto anche del Natale. Conte ha opportunamente suggerito un’interpretazione più spirituale e meno materiale della festività, e certamente sarà apprezzato solo da una minoranza. Il cenone in famiglia dovrebbe essere garantito, sebbene con i soli parenti stretti, e così pure il successivo pranzo natalizio. Di certo chi non pensa al cenone sono i ricoverati in terapia intensiva, e così pure chi se ne sta occupando, perché il volto più crudo del virus si vede nei luoghi della sofferenza e della speranza che viene e che va.

Verranno tempi migliori ma sono ancora lontani.