Le verità e le menzogne su Lotta continua

Luigi Calabresi
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“Cinquant’anni dopo l’uccisione del commissario Calabresi la commemorazione di quell’evento sui media di ogni genere è stata contrassegnata da una generale e unanime esecrazione di tre persone [Bompressi, Pietrostefani, Sofri, ndr] vittime di una condanna imposta con la menzogna per un delitto che non hanno commesso. Quell’esecrazione mira in realtà a travolgere tutta la storia di “Lotta continua”, l’organizzazione, a detta di molti, più rappresentativa della stagione di lotte degli anni ’70 in Italia”.

Una «resa dei conti con la “generazione del ’68”» per condannare – secondo Guido Viale – tutti i movimenti politici e sociali che agitarono l’Italia (e il mondo) tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta del secolo scorso.
La citazione riassume i temi principali che l’autore poi svilupperà nel volume: la vita politica, culturale ed… esistenziale di Lotta continua, fondata a Torino nell’autunno 1969 – di cui Viale è stato uno degli animatori – e sciolta nel 1976, e il processo a Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, esponenti di primo piano della stessa organizzazione, accusati e condannati per l’uccisione del commissario Luigi Calabresi, sulla base – secondo l’autore – delle sole false dichiarazioni del “pentito” Leonardo Marino.

Guido Viale

Dell’Italia di quegli anni abbiamo già parlato, su queste pagine, recensendo il libro dello storico Miguel Gotor, “Generazione Settanta” (e consiglio, tra i tanti titoli, anche la lettura di Guido Crainz, “Il Paese mancato” (Donzelli, 2003), in particolare i capitoli che riguardano il periodo di cui ci stiamo occupando); Viale, dal canto suo, ci propone una zoomata appassionata su un periodo della sua vita che lo ha profondamente coinvolto da ogni punto di vista. Davanti a cancelli della Fiat a Torino, durante l’“autunno caldo” (1969), condividendo con gli operai, molti dei quali immigrati dal Sud, le lotte e le speranze di un mondo migliore senza “padroni” come Gianni Agnelli, presidente della casa automobilistica torinese.

Lotta continua, una comunità politica, come si direbbe oggi, in cui si tentava di anticipare ciò che andava predicando nelle assemblee, negli incontri, nei cortei, e si vivevano i rapporti personali uomo/donna, o per lo meno si cercava, fuori dagli schemi “borghesi”. Proprio l’intrecciarsi col femminismo, però, fu uno dei fattori che spinse Lotta continua, divenuta nel frattempo un partito, a sciogliersi dopo il suo secondo congresso, svoltosi a Rimini nel 1976.

Lotta continua, nata sulla spinta politica e culturale del movimento studentesco del Sessantotto e trovando un terreno comune col movimento operaio, ha scontato un limite proprio di tutto il 68 italiano. Secondo Viale, il limite che lo avrebbe fatto dimenticare, riconducendo quel periodo «alla evanescente epifania di una cultura sconfitta dalla storia», è stata la mancata attenzione al «deterioramento dell’ambiente a livello planetario» e della troppo lenta «presa di coscienza di quel processo». Così non è avvenuto, secondo l’autore, in altri Paesi quali la Germania, gli Stati Uniti, la Francia, i paesi scandinavi, ecc. dove c’era stato, a differenza dell’Italia, «un travaso più o meno intenso dalla militanza “sessantottesca” ai nuovi movimenti ecologisti», perché consapevoli «del legame indissolubile fra giustizia sociale… e giustizia ambientale».

Se interpretiamo bene le parole di Viale, questo limite ha consentito, in una certa misura, di cancellare un’intera stagione di lotte politiche e sociali e schiacciare, in particolare, Lotta continua nella sola dimensione terroristica: l’omicidio Calabresi ne sarebbe la prova. Il processo e la condanna ai suoi tre esponenti diventa quindi un processo politico, perché, per l’autore, il giudizio di colpevolezza era già scritto. Per sostenere questo, dedica la seconda parte del volume alle dichiarazioni di Marino, l’accusatore ed ex membro di Lc, e all’analisi delle carte giudiziarie. Da questa condanna, emessa dalla Magistratura di Milano, non sarebbe neppure estraneo il Partito comunista. Una condanna del “passato”, gli anni ’70, intrecciata anche con le vicende che segnarono l’Italia durante i dodici anni di durata del processo: aperto nel 1988 e chiuso, con la condanna definitiva, nel 2000. Viale intitola un paragrafo “Una retata contro i socialisti”, perché il «famigerato Esecutivo di Lotta continua – su cui mai si è indagato anche se viene continuamente indicato come il vero organizzatore dell’omicidio [Calabresi] – e i suoi complici avevano subito una curiosa ricollocazione politica», ossia erano «tutte persone [inclusi due dei tre imputati, ndr] collegate o “collegabili” ai vertici del Psi»: Bettino Craxi e Claudio Martelli.

Dobbiamo, a questo punto, fare un salto all’indietro e tornare al 12 dicembre 1969, il giorno in cui scoppiò, a Milano, un bomba all’interno della Banca dell’Agricoltura, provocando una strage; alla morte, avvenuta nella questura milanese, dell’anarchico Giuseppe Pinelli, accusato di complicità nella strage, e all’arresto di un altro anarchico, Pietro Valpreda anch’egli accusato di essere l’esecutore materiale della strage. Un evidente depistaggio.
Lotta continua sarà in prima fila ad accusare il commissario Calabresi della morte di Pinelli e denuncerà, giustamente, che la strage di Milano era una “strage di Stato” (dal titolo di un opuscolo pubblicato da Samonà e Savelli poco settimane dopo). Una “controinchiesta” che svelerà la complicità di certi apparati dello Stato con l’eversione fascista, autrice della strage. Evidenze che usciranno solo dopo diversi anni.

L’anarchico Giuseppe Pinelli – interrogato nell’ufficio del commissario Luigi Calabresi – era stato trattenuto oltre il limite legale di due giorni ed era morto in circostanze mai chiarite precipitando da una finestra della questura. «La sentenza della magistratura, nel 1975 – scrive Gotor nel libro citato – scartando le ipotesi di omicidio o di suicidio, stabilì che Calabresi non era presente “nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli” e parlò di un “malore con l’alterazione del centro di equilibrio” accompagnato da “movimenti attivi e scoordinati (c. d. atti di difesa)” in grado di provocare accidentalmente la caduta». Per Viale una sentenza sulla cause della morte di Pinelli del tutto inattendibile.

Il commissario Calabresi, che aveva fermato e condotto in questura Pinelli, divenne oggetto di una violenta campagna di stampa «orchestrata dal giornale “Lotta continua” (pubblicato dal gruppo omonimo) che lo additò come il responsabile della morte del militante anarchico davanti all’opinione pubblica. Nel giugno 1971 uscì un appello sulle pagine del settimanale “L’Espresso”, firmato da oltre settecento personalità che rappresentavano il fior fiore della cultura di sinistra e progressista italiana, le quali, nel chiedere giustizia per Pinelli, “il ferroviere ucciso senza colpa”, additavano il commissario Calabresi come colui che portava “la responsabilità della sua fine”» (Gotor, cit).

(Guido Viale, Niente da dimenticare. Verità e menzogne su Lotta Continua, Interno4 Edizioni, 2022, pp. 163, 15,00 euro, recensione di Glauco Bertani).

(Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia).

I nostri voti


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Tematica
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