Scuola: classi pollaio, qualità si abbassa

scuola_corona

Un nuovo anno scolastico sta per iniziare. Ma in estate, mentre le scuole erano chiuse, sono stati resi noti i risultati delle prove Invalsi – acronimo di Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione, – somministrate agli studenti di seconda e quinta elementare, terza media e superiori dello scorso anno scolastico. Ebbene sì, si parola proprio di «somministrare» agli studenti le prove, come fossero medicine. Quali prove? Domande a risposta chiusa, per lo più, dove mettere una crocetta sulla risposta che si ritiene giusta. Come nei quiz di scuola guida, più o meno. Se uno studente non sa la risposta alla domanda,? E’ incoraggiato a metterne una a caso e sperare nella fortuna.

Le prove Invalsi sono obbligatorie, eppure accade una cosa strana: se uno studente è assente il giorno in cui si svolgono, non le recupera. Non solo: le prove non sono sottoposte agli studenti diversamente abili. Per non rovinare la media, probabilmente, anche se a più di un docente pensa a una forma di razzismo nemmeno troppo sottile.

Il Ministero della Pubblica Istruzione ne giustifica l’introduzione nel 2007 dopo aver registrato un sensibile calo del profitto della scuola e degli studenti – non è dato sapere su quali criteri. Compito presunto: aiutare i docenti a trasmettere meglio ai propri studenti nuove competenze e modificare il loro metodo di studio.

I risultati dello scorso anno scolastico? Sensazionali quanto banali, come capita sempre con l’Invalsi: pare che i figli delle famiglie più svantaggiate economicamente, in ogni ordine di scuola, vadano peggio a scuola. Roba da non credere. E’ così difficile capire che se la politica non inizia a investire e ad occuparsi seriamente di scuola, ad affrontare il tema della giustizia sociale e delle pari opportunità, ad emanare provvedimenti conseguenti, le banalità dell’Invalsi sono inutili e ridicole? Domanda: ma come fanno gli esperti a sapere che gli studenti appartengono a famiglie più o meno ricche, economicamente e culturalmente? Con una serie di domande a cui gli studenti devono rispondere, tipo: i tuoi genitori sono di origine italiana, che lavoro fanno, che titolo di studio hanno, quanti libri avete in casa? Meno di dieci, più di dieci o più di cento?

Che poi, ammettiamolo, in seconda elementare i bambini non hanno neppure tutti ben chiaro il concetto di centinaio. E così, poi, non si lede la privacy di famiglie e studenti? Sarebbe inoltre interessante chi sono, quanti sono e quanto guadagnano tutti gli «esperti» che lavorano per il carrozzone dell’Invalsi: dirigenti, consulenti, docenti, pedagogisti, psicologi, tipografi, venditori di carta, eccetera. Questi sì che sarebbero soldi per migliorare la qualità della scuola.

Come si misura la qualità? Al di là delle false promesse, consiglio ai genitori degli studenti di osservare attentamente il rapporto tra docente e il numero di studenti per classe. Anche il migliore dei docenti, infatti, seguirà e insegnerà meglio ai suoi studenti se sono 14 o 15 – come erano quando io ho iniziato a insegnare, – o 25, 28, 30, come accade oggi con le classi pollaio.