Ricordando Giannetto

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In giorni in cui l’impreparazione viene vantata come elemento di valore per candidati e figure istituzionali, ricordare una persona come Giannetto Magnanini acquista ancora più senso. Non per tesserne le lodi (anche meritate), operazione che lui stesso avrebbe ben poco gradito, ma per ricordare un personaggio e un amico di vero spessore politico, culturale ed umano.
Voglio farlo in maniera informale e personale, partendo dalla la mia esperienza di “giovane” arrivato nel 1994 alla Presidenza dell’Istituto Storico per la Resistenza (ISTORECO nacque in quegli anni). Ero il più giovane Presidente della rete nazionale ed il primo non partigiano. La mia nomina (promossa dal presidente uscente Fermo Carubbi) penso fosse legata allo sconquasso succeduto alla campagna mediatica del “Chi sa parli” e all’azione svolta dal gruppo dei Giovani Storici Emiliani che quella operazione aveva contrastato sotto il profilo storiografico come l’ennesimo, spregiudicato, episodio di uso politico della storia.

Comunque fosse mi trovai a dirigere l’Istituto confrontandomi con un Direttivo (che mi aveva eletto) in cui sedevano gli uomini della Resistenza: Giuseppe Carretti, Osvaldo Salvarani, Luigi Ferrari, Annibale Alpi, Giannetto Magnanini, Lando Landini e figure intellettuali di rilievo come Salvatore Fangareggi. La situazione imbarazzante fu completata con la nomina dei vicepresidenti: Fangareggi e Magnanini. Il mondo alla rovescia in qualche modo: un “nessuno” che si trovava ad avere come vice due persone di così alto spessore.
In realtà, come mi spiegarono entrambi, era necessario dare una svolta alle cose, facilitando un ricambio generazionale, tenendo fermi i valori per cui avevano combattuto ma lasciando spazio ai “giovani” che della storia avevano voluto fare la loro professione per uscire dal clima di polemiche e revisioni della storia della Resistenza.

Furono pomeriggi passati con loro, ad ascoltarli, ad aiutarmi a condurre, con qualche possibilità di riuscita, quell’incarico. L’esperienza operaia di Giannetto, il vedere i fascisti colpiti dai partigiani a Novellara e capire che si poteva e si doveva lottare fino alla vittoria. I suoi ricordi di quel pomeriggio del 24 aprile quando c’era anche lui fra quei partigiani a correre in via Emilia liberando la città, in quell’immagine divenuta simbolo della Liberazione. La sua esperienza politica nel PCI, i suoi ripensamenti (auto)critici, pur sempre nella linearità di quei valori fondativi della sua esperienza di “comunista emiliano”, come volle ricordare già nel titolo del suo libro del 1979. Colloqui preziosi, spesso nello studio di Fangareggi, avvocato col gusto dell’arte e della letteratura, pronto, ogni volta, a darmi un fascicoletto da leggere, a farmi notare uno dei tanti quadri sparsi fra libri e cartelle di lavoro. Un comunista e un cattolico a “formare” uno storico. Qualche stolto oggi potrebbe fare battute sui “cattocomunisti” ma quella era scuola di etica, prima ancora che di politica o di cultura.

Sono stato fortunato. A livello nazionale incontrare Guido Quazza e Francesco Berti Arnoaldi (recentemente scomparso) raccogliendo da loro, dalla loro cultura e intelligenza, la simpatia non solo verso di me ma verso una nuova generazione che voleva proseguire un cammino.
Giannetto aveva il gusto della ricerca, era curioso. Scriveva qualcosa e me la passava, sempre preceduta dalla frase rituale “io non sono uno storico, però..” e quando lo definii scherzosamente “storico quantitativo” per la sua ricerca sui prigionieri del carcere dei Servi o sui morti fascisti della Liberazione rimase perplesso e gli dovetti spiegare che i numeri in storia sono fatti, sono importanti. Così non si tirò indietro quando, con certosina pazienza, ricopiò i registi del carcere di S.Tommaso dal 1943 al 1945 fornendoci un data base di grande utilità a tutt’oggi. E poi la sua intensa attività di ricerca su personaggi a torto dimenticati come Egle Gualdi o Attilio Gombia.

Anche sulle fonti e sulla loro tutela Magnanini fu attento e attivo, promuovendo prima da presidente ACT il riordino dell’Archivio storico dell’azienda e poi, da presidente Istoreco, il suo deposito nel Polo Archivistico.
Anche quando talvolta le nostre idee non coincisero, anni dopo, a ruoli invertiti, lui presidente, io vice, veniva nel mio ufficio, si sedeva e si parlava e qualche volta si lasciò sfuggire sorridendo appena un “hai imparato bene”, forse ricordando proprio quei colloqui “di formazione” di dieci anni prima.

Gli uomini della sua generazione, ai quali la vita aveva precluso un’istruzione adeguata alla loro intelligenza, mi hanno insegnato molto. Per qualunque compito e incarico nessuno è uguale ad un altro, Giuseppe Carretti si definiva un “bracciante di Villa Seta” ma si chiudeva nel suo studio a leggere, scrivere, informarsi e poteva insegnare a chi, come noi, stavamo ad ascoltarlo.
Leggere, informarsi, studiare, sarebbe bello che si tornasse a queste pratiche ormai desuete, lasciando i tweet a tweettare nel vuoto delle tante teste che ormai dominano la nostra triste scena contemporanea.

Grazie Giannetto.