Renzi, i limoni e Montalbano

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“Ho fiducia nella giustizia”.

Non esiste indagato, imputato, amico parente affine o compagno a qualsiasi titolo di vicinanza che possa esimersi, quando coinvolto, nel pronunciamento della pietosa bugia.

Chi nutrisse autentica fiducia nella giustizia, in una civiltà di relazioni umane lievemente più evoluta dell’attuale, non ne avrebbe bisogno: i soggetti coinvolti, vi fosse pure tra essi lo Stato, concorderebbero una soluzione equa nel migliore interesse generale e la partita sarebbe chiusa lì.

Purtroppo il grado di evoluzione dell’homo sapiens sapiens non è ancora sufficiente a farci comprendere quanto tempo ed emozioni e risorse vengano sprecate nell’esercizio della cosiddetta “giustizia”. La sclerosi del sistema in Italia è conclamata da tempo e sversa liquami di iniquità da ogni tribunale.

L’amministrazione della giustizia è sottoposta a pressioni e interessi di ogni tipo, spesso anche di schietta matrice corruttiva, non è esente dai difetti di censo tipici delle élite e si divide in correnti para-politiche sul modello dei partiti di un tempo, ma a differenza dei partiti il corpo della magistratura gode di autonomia costituzionale e di margini di autodifesa non concessi al potere legislativo né a quello esecutivo.

È storia italiana degli ultimi trent’anni, durante i quali i giudici hanno svolto ripetuti compiti di “supplenza” ai presunti errori della classe politica, in questo trovando potenti alleati (o fieri avversari) in parte del mondo dell’informazione.

Delle fatture emesse tra il 2010 e il 2013 dal signor Tiziano Renzi e signora nell’attività di una cooperativa di volantinaggio nel ben noto cluster finanziario di Rignano sull’Arno, giro d’affari complessivo sui 120mila euro, nessuno sul pianeta e tantomeno l’ultimo magistrato in esercizio a Firenze si sarebbe mai interessato causa inconsistenza del caso: l’obbligatorietà dell’azione penale vincola il giudice inquirente a perseguire il barista che non rilascia lo scontrino del caffè perfino al bar accanto al tribunale, ma non vi è bar in Italia in cui taluno controlli – e nessuno comprensibilmente si straccia le vesti per questo.

Vi è una possibilità sola su 50 milioni che il periglioso volantinaggio di Rignano acquisisca il rango di bancarotta fraudolenta. Reato pessimo, potenzialmente devastante in termini materiali per chi lo subisce quanto inconsistente in assenza del danneggiato: risultare all’anagrafe genitori di un leader politico di successo (ai tempi).

Ed è ciò che accade oggi in Italia, altro materiale buono da spendere nel mondo per farci riconoscere quanto siamo bravi nell’infinita perpetuazione della commedia dell’arte: sappiamo rinvigorire lo stesso racconto del potere che si intriga e re-intriga sul canovaccio del comico o del tragico, passiamo dal miliardario con le donnine al giovane premier dal babbo imbroglione, abbiamo inventato la mafia e l’anti-mafia, i peggiori criminali e gli eroi più luminosi, ci incolliamo in dieci milioni su RaiUno per goderci il nuovo Montalbano, il sole unico della Sicilia, la lotta perenne tra il Bene e il Male, gli amori, le passioni, i delitti, le assoluzioni della chiesa millenaria e le mai sopite tentazioni del Demonio.

Quale fiducia nella giustizia può nutrire il giovane eroe vinto in battaglia? Non vi può essere alcuna giustizia su questo piano di realtà. Rilegga con calma Tomasi di Lampedusa, il giovane Renzi, e si ritiri nel Trapanese a coltivare limoni. Lacrimerà di nostalgia ma potrà invecchiare raccontando ai nipoti che la giustizia non è di questo mondo.




C'è 1 Commento

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  1. Paolo

    A dire il vero non sembra proprio che il giro di affari sia limitato a 120.000 euro, così come è un poco improprio accostare la mancata emissione della fattura all’utilizzo di fatture false. Nel nostro paese si fà spesso questo accostamento ma è completamente sbagliato. Nel primo caso si omette di versare imposte sul proprio reddito, nel secondo caso oltre a omettere di versare imposte si utilizzano le fatture false per derubare lo stato di Iva mai versata.


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