La Procura di Reggio ha chiesto il rinvio a giudizio di altri cinque agenti di polizia penitenziaria (oltre ai dieci già condannati in primo grado), indagati per concorso in tortura e lesioni personali per il pestaggio ai danni di un giovane detenuto tunisino, avvenuto il 3 aprile del 2023 nel carcere di Reggio.
La scena era stata documentata nei dettagli dalle telecamere del sistema di videosorveglianza interno dell’istituto penitenziario: la vittima era stata incappucciata con la federa di un cuscino stretta intorno al collo, poi denudata, aggredita con calci e pugni, spinta, calpestata. Dopo essere stato riportato in cella, il detenuto era stato poi aggredito una seconda volta e lasciato a lungo seminudo per terra. Era stata propria la vittima della brutale aggressione, qualche giorno dopo, a sporgere denuncia: in seguito, il giovane detenuto era stato trasferito nel carcere di Parma.
Si tratta di un secondo filone d’indagine sulla vicenda, dopo che lo scorso febbraio altri dieci agenti di polizia penitenziaria erano già stati condannati in primo grado, con il rito abbreviato: in quel caso, però, per abuso di autorità contro detenuto in concorso (con pene variabili da quattro mesi a due anni di reclusione), senza che fossero riconosciuti colpevoli, come aveva invece chiesto la pubblica accusa, dei reati di tortura e lesioni.
Tre di quegli agenti sono stati condannati anche per falso, e due di loro ora sono imputati anche nel nuovo filone del procedimento: l’udienza preliminare davanti al gup (giudice per l’udienza preliminare) del tribunale reggiano, per loro due e per altri tre colleghi, è in calendario il prossimo 5 febbraio.
Per questi cinque agenti non era stata accolta la richiesta di misure cautelari avanzata dal giudice per le indagini preliminari nel corso del primo filone di indagine: la Procura di Reggio aveva anche fatto appello al tribunale del Riesame, che a sua volta non l’aveva concessa, non ravvisando esigenze cautelari particolari, ma aveva comunque segnalato la presenza di indizi di concorso a titolo morale con la condotta tenuta contro il detenuto tunisino.







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