Quindi i razzisti saremmo noi

Marwa Mahmoud Comune Reggio Emilia

Il ministro Valditara ha abolito l’utilizzo di forme lessicali per così dire creative del tipo schwa e asterisco nella comunicazione dell’intera pubblica amministrazione italiana. Dopo anni di delirio anche linguistico introdotto dalla cultura woke, subcultura estremista che ha causato non pochi danni alle sinistre internazionali, finalmente riemergono segnali di buonsenso che oltrepassano le appartenenze politiche e ci riportano, avrebbe scritto Battiato, a quote più normali. Vi è da augurarsi che anche nel Pd, ormai prossimo all’appuntamento congressuale, si riesca a comprendere quale sia il prezzo di consenso pagato al sostegno alle stramberie meno comprensibili alla larga maggioranza degli italiani, votanti a sinistra compresi.

Vi è mai capitato di ricevere email da mittenti pubblici ufficiali che iniziavano con “Carissim*” oppure parole scritte a genere non binario del tipo “car* compagnə”? Con comprensibili difficoltà di pronuncia abbastanza evidenti. Da anni questo scemenzaio si produce quasi ovunque, e certamente se ne è fatto un largo abuso a Reggio Emilia.

Notevole contributo al tema proviene dall’assessora islamista-femminista Marwa Mahmoud, di origini egiziane, una signora che indossa regolarmente un copricapo in segno dell’appartenenza religiosa ma che sostiene apertamente, senza avvertirne il minimo segnale di contraddittorietà, tesi legate al femminismo estremo e, ovviamente, una lotta continua verso il patriarcato che a suo avviso è ancora assai diffuso in Italia, che è a suo avviso un “paese razzista”.

Mediante una fondazione finanziata dal Comune denominata Mondinsieme, Mahmoud conduce da tempo una campagna di neanche tanto sottile diffamazione dei valori, dei principi e dello stile di vita degli abitanti la terra che l’ha accolta, nutrita e valorizzata (fa parte persino della segreteria nazionale di Elly Schlein). Mahmoud svolge un’opera costante a favore dell’immigrazione musulmana in Italia, indirizzandone i più verso un declamato spirito di integrazione che nei fatti consiste nello spostare a sinistra i nuovi arrivati. La recentissima inaugurazione di uno Sportello Antirazzista a Reggio Emilia, quasi che fossero gli italiani di nascita a creare problemi ai teneri maranza bisognosi di coccole, coglie Mahmoud impreparata sullo Zeitgeist reggiano, nel quale la deriva woke contrasta con legioni di reggiani alle prese con i molti problemi recati soprattutto dalle seconde generazioni musulmane, indisponibili all’integrazione e assai propense allo scontro identitario.

Le accuse di razzismo rivolte agli italiani e ai reggiani dalla stessa assessora islamo-femminista, che a Reggio deve tutto e non mi pare abbia mai detto grazie, sono contenute nel libro edito da Derive/Approdi, casa editrice fondata dal terrorista capo delle Brigate rosse Renato Curcio, e cadono in un momento storico dove la sinistra italiana si ritrova nel caos completo, distaccata da milioni di voti dalla destra di Giorgia Meloni, incapace persino di elaborare un’identità comune su cui ritrovare il consenso degli italiani.

Anche grazie alle scelte del sindaco Massari, e alla rinuncia del Pd locale ad esprimere opinioni sugli errori della giunta in carica, Reggio Emilia è destinata a una lunga fase di declino sia nella ricchezza media, sia nella convivenza civile. Una piccola caotica cittadina ad alto tasso di islamizzazione la cui principale attrazione per il resto del mondo resterà la stazione Mediopadana, ottima soluzione per spostarsi in luoghi più gradevoli.




Ci sono 10 commenti

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  1. Michele Lagano

    Spett. redazione, considerato che l’ esimio avvocato Marco Scarpati non ha ritenuto opportuno rispondere alla mia replica al suo post del 25/3/2025, (https://www.facebook.com/share/p/1VEeuv6pVK/), giro a Voi le mie considerazioni. Cosa ne pensate?
    Lei [AVV. Scarpati, ndr] ha citato diversi casi riconducibili al “razzismo”. Cosa intende per razzismo e antirazzismo, dott. Scarpati? Trovo molto interessante l’analisi di Alain de Benoist, per esempio. “Una cosa è certa: l’antirazzismo, che vuole essere essenzialmente pedagogico (l’«apprendimento della tolleranza»), non ha mai fatto indietreggiare il razzismo. L’idea che il «razzismo» si ricicla, si trasforma, si rinnova, indossa «abiti nuovi», assume «nuove forme», ecc., si è per contro rivelata una porta aperta per ogni processo alle intenzioni.
    L’accusa di «razzismo», variante del «punto Godwin», è divenuta un «riferimento raccapricciante», una minaccia incapacitante che mira a imbavagliare, impedire, colpevolizzare, disarmare ogni critica, mettere definitivamente a tacere. Facendo di questa accusa un «uso polemico destinato a squalificare, a designare dei colpevoli, se non addirittura a criminalizzarli» – e di cui Taguieff scrive ancora che «niente è più lontano da un esame critico o da una discussione scientifica» – l’antirazzismo diventa terroristico poiché può delegittimare senza prove, mediante una semplice etichetta. Con il pretesto dell’antirazzismo si è così messa in campo una meccanica di stigmatizzazione sospettosa che Alain Finkielkraut non ha esitato a descrivere come il totalitarismo del XXI secolo. Taguieff, dal canto suo, arriva persino a parlare delle «conseguenze indesiderabili di un antirazzismo divenuto una macchina per escludere, macchiare e uccidere socialmente». E aggiunge che l’antirazzismo può divenire un razzismo invertito, quando stigmatizza una parte della popolazione imputandole opinioni infami. E lo fa tanto più, come ha scritto il deputato belga Alain Destexhe, in quanto «non può risolversi alla scomparsa del nemico che giustifica la sua esistenza sovvenzionata».
    L’«antirazzismo» attuale non ha in realtà che due funzioni reali. La prima è disarmare ogni critica dell’immigrazione. La retorica antirazzista, così come la ascoltiamo tutti i giorni, sorretta dai mezzi di informazione e dalle lobbies, si prefigge fondamentalmente di far credere che tutte le critiche dell’immigrazione sono ispirate dal «razzismo». Chiunque critichi l’immigrazione è accusato di «razzismo», chiunque voglia dar prova di «antirazzismo» deve al contrario parlare in favore della soppressione delle frontiere (ciò che si potrebbe definire «feticismo dell’Apertura»).

    Questa tesi è perfettamente menzognera, perché non è il razzismo che induce a criticare l’immigrazione, ma piuttosto l’immigrazione che, purtroppo, suscita reazioni razziste, il che non è completamente la stessa cosa. La critica di un’immigrazione giudicata troppo rapida, troppo massiccia o dannosa per la vita comune di popolazioni troppo differenti può essere sottoposta a critica. Ma non è intrinsecamente razzista. Le persone che esprimono un parere negativo rispetto all’idea che la popolazione del loro paese sia sostituita da un’altra, nella quale non si riconoscono, non sono necessariamente ispirate dal razzismo. Questo parere può essere radicato anche nell’abitudine, nel patriottismo, nel fatto di sentirsi divenire estraneo all’ambiente umano o al
    «panorama sociale» che si abita. Nemmeno il desiderio di omofiliazione fisica, ossia il «desiderio di avere una discendenza somigliante alla propria ascendenza» (Taguieff), è sinonimo di razzismo, così come non è razzismo ritenere che gli individui non siano intercambiabili o sostituibili gli uni agli altri, né desiderare che le culture e i paesi conservino personalità differenti, senza divenire tutte più o meno identiche. Lo stesso discorso vale per l’islamofobia, che è certamente una sinistra stupidaggine, ma di cui non possiamo esimerci dall’esaminare le cause.
    La seconda ragion d’essere dell’«antirazzismo» è di dissimulare l’adesione al sistema capitalistico che in questi ultimi decenni ha caratterizzato un’intera generazione di «pentiti». L’antirazzismo ha sostituito l’anticapitalismo come la lotta contro tutte le discriminazioni ha sostituito la lotta di classe. Si denunciano tanto più le «discriminazioni» di origine ontologica (sessismo, razzismo, fanatismo religioso) in quanto ci si adatta benissimo alle disuguaglianze economiche e sociali molto concrete dovute allo sfruttamento del lavoro vivo da parte della logica del profitto. L’antirazzismo funziona da questo punto di vista come paravento di un’adesione al sistema. Andando di pari passo con la riduzione del politico alla «morale» (quella dell’ideologia dei diritti dell’uomo), costituisce uno schermo, una cortina di fumo. Robert Redeker parla giustamente di «protesi destinata a dare un’illusione che colmi il vuoto politico». L’antirazzismo, scrive,
    «crea nell’animo degli ingenui e dei sognatori l’illusione che continuano a esistere concetti, analisi, progetti e lotte politiche, mentre tutte queste cose sono state gettate a mare». «All’insaputa di tutti e di ciascuno», aggiunge, «la sinistra si è dissolta nell’antirazzismo. Le parole “razzismo”, “antirazzismo”, “immigrato”, “immigrati clandestini” riempiono tutte le pagine del quotidiano comunista L’Humanité, mentre trent’anni fa questo onore era riservato alla parola “proletario”». Se gli immigrati hanno sostituito il proletariato, il nemico non è più, evidentemente, il capitalismo (che tuttavia sfrutta anche gli immigrati), ma il «razzismo». In passato, quando impegnarsi equivaleva ad accettare di vivere pericolosamente, l’antirazzismo ha potuto essere una cosa rischiosa. Coloro che hanno combattuto la segregazione razziale negli Stati Uniti o l’apartheid in Sudafrica ne hanno saputo qualcosa. Oggi, l’antirazzismo è non soltanto privo di rischi, ma è persino estremamente vantaggioso, poiché l’adesione al discorso «antirazzista», ormai diffuso in tutti i mezzi di informazione, tutti gli istituti scolastici, tutti i servizi statali, tutti gli ingranaggi dello show-business, conferisce un brevetto di rispettabilità e costituisce un certificato di sottomissione all’ideologia dominante.
    Poiché si ammette che l’antirazzismo può portare tanto a sopprimere le differenze quanto a esaltarle, si pone infine il problema di sapere che cosa bisogna pensare del «differenzialismo» (di cui siamo sempre stati i difensori). C’è con ogni evidenza un antirazzismo differenzialista rappresentato in particolare da Claude
    Lévi-Strauss o Robert Jaulin, ma che può ispirarsi anche all’opera del filosofo neomarxista Henri Lefebvre, il cui Manifesto differenzialista (1970) presenta la storia dell’umanità come una «lotta titanica tra poteri omogeneizzanti e capacità differenziali». Attendo un suo parere. Grazie.

  2. Fabrizio

    “Là dove un tempo sorgeva il quartiere generale dell’organizzazione di spionaggio e sicurezza della Germania Est ora sorge il museo della Stasi”.

    Quando una amministrazione non ha né polso né buone idee, ecco che si ripresenta l’esatto istante in cui la storia torna a ripetersi.

    Non è ammissibile anche solo il far credere che nella nostra terra esistano radici di un problema come il razzismo.

    Non è ancora di più tollerabile l’ammissione che ad una città come la nostra serva un simil servizio da Germania dell’Est.

    È una vergogna che ad una inettitudine amministrativa venga dato supporto e concessione di puntare il dito nel vuoto, insultando l’intelligenza di un popolo che di accoglienza ne ha fatto invece una delle sue virtù.

    Non sono io che devo essere educato più di quello che oggi fin troppo sono e sono stato.

    Personalmente non sposterò di un centimetro l’asse della mia pura e massima tolleranza.

    Nei confronti di tutti.

    Non mi presterò a delle vere e proprie opere di spionaggio.

    Chi viene scelto come assessore deve avere già le conoscenze di base per poter assolvere il suo compito.

    Altrimenti, che ne riconosca la sua inadeguatezza e non idoneità e si dimetta.

  3. Pietro Quartani

    Egregio direttore, fermo restando il sacrosanto diritto di critica che dovrebbe portare a un confronto e non certo a teazioni scomposte da parte di chi ci amministra, mi sembra tuttavia di poter riassumere il suo intervento in questi termini: i reggiani non sono razzisti, sono gli altri che sono islamici!
    Il problema, piaccia o no, è molto semplice: o ogni donna reggiana in età fertile dà alla luce mediamente 2,2 figli o inevitabilmente il “buco” creato sarà riempito da immigrati.
    Questo perchè, come mi insegnava mio nonno con saggezza reggiana, l’acqua corre sempre dall’alto verso il basso e non c’è modo di invertirne il corso. Assistiamo già oggi al singolare fenomeno di bilinguismo arabo e dialetto reggiano. Facciamocene una ragione.

  4. kursk

    e’ grazie all’opera di amministratori e politici come Marwa Mahmoud se qualunque formazione partitica di destra in Italia avra’ vittoria facile nelle elezioni da qui ai prossimi duecentocinquantanove anni……ovunque tranne a Reggio ovviamente.

  5. Gianni Vattani

    Peggio Emilia…una cloaca ormai pronta per il commissariamento totale…Valter Sacchetti si rivoltera’ nella tomba guardando questo sfacelo…! Arrivera’ anche il momento per questi amministratori pubblici…la ruota gira


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