Più chiaro di così

arcivescovo Giacomo Morandi omelia chiesa di San Prospero 2025 – GAR

C’è voluto l’arcivescovo Giacomo Morandi, nel giorno del patrono, per riportare un punto fermo in una città che da troppo tempo sembra aver smarrito il proprio baricentro culturale. Con un’omelia misurata nei toni ma limpida nei contenuti, il vescovo ha ricordato ciò che a Reggio Emilia pare diventato quasi scomodo dire: gli insegnanti non sono colonizzatori, ma il presidio quotidiano di un’educazione che forma persone e comunità.

Un’affermazione che, in qualunque contesto normale, apparirebbe persino ovvia. Ma non nella Reggio governata dal sindaco Massari e dalla sua giunta esperta nel creare tempeste identitarie dove non servono. Qualche giorno fa l’assessora all’Educazione Marwa Mahmoud aveva bollato con l’etichetta di “sguardo coloniale” il lavoro degli insegnanti reggiani. Un’accusa pesante, figlia più dell’ideologia che della realtà. E l’arcivescovo, con calma e fermezza, l’ha semplicemente smontata. Nessun proclama, nessuna polemica: solo un richiamo al buon senso. Ed è proprio questa sobrietà a risultare, paradossalmente, dirompente.

Massari era nella basilica di San Prospero, e – inutile girarci intorno – ne è uscito a testa bassa. Il divario tra la tradizione reggiana, fatta di radici, simboli e continuità, e la subcultura “woke”, che la sua amministrazione tenta di importare chiudendo gli occhi sulla storia locale, non potrebbe essere più evidente.

Il multiculturalismo non è una tavolozza su cui improvvisare ogni settimana un colore diverso: è dialogo, è conoscenza, è rispetto reciproco. È la capacità di aggiungere, non di sostituire. Ed è qui che la giunta inciampa: scambia la promozione della diversità con il sistematico annacquamento dell’identità. Prendiamo l’esempio – ormai simbolico – del Capodanno cinese con le lanterne rosse, celebrato come se fosse una nuova festa fondativa della città. Benissimo conoscere altre culture, partecipare, essere curiosi. Ma confondere queste iniziative con la nostra tradizione è un’altra cosa. Semplicemente, non c’entra. Non è Reggio. Non è San Prospero. Non è la nostra storia.

Il vescovo Morandi, con una sola omelia, ha rimesso in fila i concetti che qui molti fingono di non vedere: le radici non sono un vezzo nostalgico, ma la condizione necessaria per accogliere davvero. E in una città dove si confonde spesso il rispetto con l’autocensura, il dialogo con il relativismo e l’educazione con il sospetto, quella voce calma e chiara risuona più forte di qualunque proclama politico.

A volte, per capire dove andare, basta ricordare chi siamo. Reggio l’ha riscoperto nella basilica di San Prospero. Più chiaro di così.




Ci sono 3 commenti

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  1. Gabriele

    Proprio così. Grazie.
    Anche il calo della natalità, che negli anni si è accumulato, porta a gravi scompensi. Lo si diceva che bisognava difendere la famiglia, la maternità e paternità, prima con la cultura dei valori oggettivi e poi con aiuti, sovvenzioni, proposte. E invece solo a parlare dei “diritti” primo fra tutti quello dell’aborto, poi del divorzio, dell’amore “liquido”. E’ una constatazione amara ma che non toglierà il desiderio di promuovere e difendere i valori famigliari che hanno fatto grande Reggio.


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