Perché odiano la cultura

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In Italia ogni giorno chiudono due edicole. Per chi ci segue da tempo, è un disco rotto: lo scriviamo da vent’anni, per la precisione dal giugno 1999, quando nacque Emilianet. I guru del web si esercitarono sull’anno esatto della chiusura dei giornali cartacei.

Le loro previsioni di allora rischiano di essere anticipate dalla realtà.
Feltrinelli editore ha salvato la Scuola Holden di Alessandro Baricco acquisendone la maggioranza. Meno bene è andata a Imprimatur editore, a Reggio Emilia, in liquidazione da mesi.

Il governo ci mette del suo vagheggiando risposte stile “meno Stato più mercato” da anni Ottanta, quasi che il mercato fosse lo stesso di allora. Il governo Conte sta per uccidere dopo quarant’anni il servizio pubblico di RadioRadicale e il M5S sta per cancellare quei quattro soldi di contributi pubblici che permettono di sopravvivere a miriadi di testate vecchie e assistite, ma nella completa assenza di progetti alternativi: okay, li uccidi, e poi?
Il loro “poi” è il potere declinato a chi è salito troppo in alto e troppo in fretta per conoscere davvero la realtà. Odiano il giornalismo perché molti di loro avrebbero voluto farne parte e non vi sono riusciti, quando ancora il merito qualcosa contava. Il pubblico oggi spende di più, assai di più, in uffici comunicazione: controllate stipendi e locazioni dei parlamentari Cinquestelle a Roma, prima di aprire bocca. E dell’informazione, e dell’editoria, e dei giornali? Beh, diciamolo a bassa voce. In fondo nei regimi se ne può fare a meno.