Papa Francesco e la posizione sulla guerra

Don Giuseppe Dossetti

Nella festa dell’Annunciazione a Maria, Papa Francesco consacra al Cuore Immacolato della Vergine l’umanità intera e in modo speciale la Russia e l’Ucraina. Questo atto sembra un gesto devozionale un po’ scontato e un po’ démodé. Cerchiamo, invece, di coglierne l’importanza e di leggervi lo sforzo del Papa per orientare le coscienze, prima di tutto di noi cristiani.

Francesco è stato accusato, nelle scorse settimane, di aver deprecato la guerra, ma senza fare nomi e senza indicare le responsabilità. Il New York Times si spinge a un acrobatico confronto con gli asseriti silenzi di Pio XII nei confronti di Hitler. Così, il Papa ha voluto smentire l’accusa di equidistanza e nell’Angelus del 20 marzo ha parlato della “violenta aggressione contro l’Ucraina, un massacro insensato … Non c’è giustificazione per questo”. Ma, nello stesso tempo, l’ Atto di Consacrazione è rivolto a tutti e invita a un esame di coscienza universale: “Noi abbiamo smarrito la via della pace. Abbiamo dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso, il sacrificio di milioni di caduti nelle guerre mondiali. Abbiamo disatteso gli impegni presi come Comunità delle Nazioni e stiamo tradendo i sogni di pace dei popoli e le speranze dei giovani. Ci siamo ammalati di avidità, ci siamo rinchiusi in interessi nazionalisti, ci siamo lasciati inaridire dall’indifferenza e paralizzare dall’egoismo. Abbiamo preferito ignorare Dio, convivere con le nostre falsità, alimentare l’aggressività, sopprimere vite e accumulare armi, dimenticandoci che siamo custodi del nostro prossimo e della stessa casa comune. Abbiamo dilaniato con la guerra il giardino della Terra, abbiamo ferito con il peccato il cuore del Padre nostro, che ci vuole fratelli e sorelle. Siamo diventati indifferenti a tutti e a tutto, fuorché a noi stessi. E con vergogna diciamo: perdonaci, Signore!”.

Assisto con dolore all’uso che si fa di questa guerra per assolverci da ogni responsabilità, senza collocarla in una cornice più vasta e senza che si operi un’analisi della storia recente. Penso anche che solo questo potrà aprire spazi di giustizia e di pace, dare l’energia morale per ricostruire. L’Europa lo ha fatto, dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, come impegno verso i morti, e in parte vi è riuscita, come ha sottolineato il Presidente Mattarella: “La democrazia europea è stata garante di pace, motore di dialogo, di sviluppo e affermazione di valori di giustizia e coesione sociale. Ha saputo dare all’unità del Continente – pur con i suoi limiti – ordinamenti plurali e condivisi e oggi questa unità si esprime al fianco del popolo aggredito, chiedendo che tacciano subito le armi, che si ritirino le forze di invasione, che venga affermato il diritto del popolo ucraino a vivere in pace e in libertà”.

Tuttavia, democrazia non vuol dire automaticamente pace e la storia recente lo dimostra. In altre parole, la pace e la guerra si decidono nel cuore dell’uomo prima che nelle cancellerie e nei parlamenti. Per questo, è lecita una domanda: “Dove vogliamo arrivare? Che cosa si fa per dare una prospettiva di pace, di ricostruzione anzitutto morale?” La storia continuerà, anche quando le armi taceranno. Le macerie dei palazzi distrutti saranno rimosse e nuove case saranno costruite. Ma le macerie spirituali dureranno ancora a lungo e fin da adesso dobbiamo fare opera di pace. Le nostre parole e le nostre azioni potranno essere purificate da questo veleno se ci saranno, a cominciare da noi, quegli atteggiamenti che l’Atto di Consacrazione suggerisce. Forse, il termine “conversione” ci può apparire troppo legato a una particolare visione religiosa della vita. Possiamo però facilmente trasferirlo in un linguaggio più universale: si tratta di mettere in discussione la nostra superbia e la nostra volontà di potenza.

La “consacrazione a Maria”, altro termine inconsueto, vuole essere proprio questo. Consacrarsi vuol dire affidarsi e ci affidiamo perché riconosciamo il nostro limite. Ci viene proposta la figura di una Madre, che significa tenerezza e consolazione. Di questo abbiamo bisogno tutti, anche coloro che ostentano sicurezza e fanno discorsi superbi: anche loro provano lo smarrimento del cuore ed è bene che sia così. Non dobbiamo temere il dubbio, se esso ci porta a riconoscere che la guerra non risolve nulla e che l’avversario, il nemico, è pur esso un uomo ed è a questa comune umanità che dobbiamo fare appello, perché la ricostruzione dovrà essere fatta insieme.