‘Officine Reggiane – Il sogno di Volare’: una fabbrica, una città, uno spettacolo

Officine Reggiane. Il sogno di volare (4)
8.8

In scena al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia “Officine Reggiane – Il Sogno di Volare” di Marco di Stefano, una produzione tutta reggiana di Centro Teatrale MaMiMò, Spazio Gerra e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia; con l’importante collaborazione di Istoreco.

Le Officine Reggiane hanno avuto un ruolo importantissimo nella storia di Reggio Emilia, definendone non solo lo sviluppo industriale, ma lasciando anche una rilevante impronta sociale, un’eredità culturale. Dal 2012 è possibile consultare l’Archivio Storico delle Officine, donato dall’ultimo proprietario Luciano Fantuzzi, il quale comprende documenti che ricoprono quasi l’intera vita della centenaria fabbrica. Fra i documenti più interessanti ci sono le cartelle del personale: dei veri e propri curriculum vitae di ogni operaio e dipendente mai assunto, che comprendono dettagli interessanti come sanzioni o cause di licenziamento. Queste informazioni, molto schematiche a primo acchito, lasciano spazio ad un assunto fondamentale: la storia delle Reggiane è la storia delle Persone che ci hanno lavorato.

Come si può quindi trasformare un Archivio in uno Spettacolo? Come rendere quelle informazioni asettiche una narrazione? Come trasmettere l’importanza di un’azienda la cui influenza sul territorio è stata tale per cui è difficile trovare un reggiano che non abbia un parente che ci ha lavorato? “Officine Reggiane – Il sogno di volare” non racconta solo la storia della fabbrica, ma anche la genesi stessa dello spettacolo. I capitoli (i cui titoli sono presi dai graffiti che riempiono i capannoni abbandonati della ex fabbrica) definiscono la storia dell’azienda dalla nascita nel 1904 fino alla chiusura di 10 anni fa; si percorrono tutti i cambiamenti che la produzione ha subìto (da treni a proiettili, ad aerei, a macchine agricole a gru) insieme ad eventi determinanti per la città tutta, come l’Eccidio delle Reggiane del 1943 o l’occupazione del 1950. Si accenna poi alla nuova strada che hanno intrapreso questi enormi capannoni, dall’estremo progresso del Tecnopolo, alla piccola comunità che tutti i giorni vive questi luoghi abbandonati come casa; due nuove vite fortemente in contrasto che eppure coesistono una a fianco all’altra; questo dinamismo non a caso viene ripreso nella scena che ce lo racconta. Contemporaneamente ci viene mostrato il processo creativo di quest’opera, fatto di idee, di scontri e di accordi: lo spettacolo nasce e si sviluppa davanti ai nostri occhi. Un altro punto di forza è il fatto che la narrazione si faccia carico di una pluralità di sguardi, di livelli di narrazione: la storia delle Reggiane non è idealizzata per un vuoto patriottismo, ma è intelligentemente soppesata nei suoi lati positivi e negativi.

Lo spazio è molto importante: il teatro Cavallerizza (interessante che anche questo edificio, come le Reggiane abbia subito un’importante metamorfosi) è in questa occasione lasciato completamente spoglio, il che non solo allarga enormemente lo spazio scenico, ma lo fa somigliare molto ad un ambiente industriale (tocco di stile la scala a chiocciola lasciata in bella vista); scelta rafforzata dal tipo di arredamento scenografico utilizzato. È decisamente uno spettacolo multimediale: sotto gli occhi ci passano davanti immagini di repertorio, scene recitate, musicisti, testimonianze video e persino una intervista dal vivo; queste ultime rappresentano indubbiamente uno dei momenti più emozionanti e forti. Coraggiosa la decisione di cambiare il testimone intervistato ogni sera.

È uno spettacolo fortemente legato al territorio in cui e per cui nasce, frutto di collaborazioni e di reti di realtà culturali che vi operano. Importante a mio parere tenere a mente che lo scopo primario di questa creazione non è tanto raccontare una storia, quando esprimere il valore e l’impatto che questa fabbrica ha avuto sul territorio reggiano, senza rinunciare all’aspetto di creazione artistica e in questo ha raggiunto in pieno l’obiettivo.

 

I nostri voti


Ideazione
9
Realizzazione
8.5