Non c’è luce in fondo al tunnel

fila poveri Covid

Un milione e duecentomila lavoratori, sostiene stamani Repubblica, non hanno ancora ricevuto gli assegni della cassa integrazione. Circa un terzo di essi li attendono addirittura dal marzo scorso. Di più. Le casse dell’Inps sono messe a dura prova dalle misure di mitigazione degli effetti del Covid. Il buco nel bilancio dell’ente arriva alla stratosferica cifra di 16 miliardi di euro.

Basterebbero questi numeri per comprendere come l’emergenza che stiamo attraversando da quasi un anno sia destinata a produrre conseguenze nefaste ancora a lungo. E perché in fondo la crisi politica in corso rappresenti una crisi ben più profonda che sta scavando nell’ossatura del sistema Italia, promettendo tempi grami per molti anni a venire.

La cassa integrazione che non arriva stenta a fare notizia. Si tratta comunque di lavoratori dipendenti – si dice “beati loro che un posto ce l’hanno”. Ma intanto, senza assegno non si campa. È il caso di milioni di italiani ormai entrati in discesa a far parte della schiera dei nuovi poveri. Vedete le file interminabili nelle strade che conducono alle organizzazioni di sostegno a chi ne ha più bisogno. Vi trovate persone sino a un anno fa autonome, a reddito minimo ma comunque autosufficienti sul piano economico.

Questa gente ha finito i risparmi, è stata espulsa dal mondo del lavoro, riceve pensioni inadeguate alla sopravvivenza. Alcuni di essi ricevono il reddito di cittadinanza, come peraltro un sacco di soggetti che lavorano ai margini della legge, o anche oltre, e riescono così a imbrogliare lo Stato. Ma è sempre una guerra tra poveri, dove quello messo peggio è proprio lo Stato. Uno sguardo all’esplosione del debito pubblico indica con chiarezza come l’Italia sia messa, in Europa e nel resto del mondo.

Chiunque conosca un titolare di bar, o un ristoratore, o un albergatore, è informato dei fatti e si rende conto di come sia messa la situazione. Perché è vero che stanno male i lavoratori cassintegrati, ma privati e micro imprenditori stanno pure peggio. Molti di essi hanno investito denaro, si sono indebitati per rinnovare i locali o per lanciare una nuova impresa, vivono del proprio lavoro. Le mitigazioni del governo arrivano a rilento e comunque sono tipiche di una cura palliativa. Non coprono che una minima parte delle spese. Intanto il tempo passa e la crisi morde.

La politica delle regioni a colori non agevola di certo le attività economiche. Ci sono intere categorie di lavoratori che stanno soffrendo e che rischiano il fallimento definitivo delle proprie attività. Dove finiranno questi? Alla mensa dei poveri, probabilmente. Sino a che non si tornerà a vedere la luce in fondo al tunnel.

In questa pessima situazione va inserita la crisi di governo ormai in corso. Dall’estero ci guardano secondo i noti stereotipi: gli italiani sono matti, sempre divisi, persino di fronte a una pandemia devastante. Non mi pare ci siano le condizioni per andare a elezioni anticipate, non fosse altro che per l’attaccamento dei parlamentari al proprio incarico. Dubito poi fortemente che il presidente Mattarella voglia passare alla storia per avere sciolto le Camere nel pieno dell’emergenza sanitaria. Né credo lo vogliano i partiti dell’attuale maggioranza.

È necessario un governo solido, capace e in buona salute. Soprattutto, un governo figlio di un accordo politico autentico, che sappia guidare l’Italia nel mare in tempesta, mettendo al primo posto gli interessi del paese nel suo insieme. Conte è il migliore per questo incarico? Certamente no. Non è detto tuttavia che il successore sia più bravo di lui. E in fondo non conta solo il premier, ma un’intera classe politica che rischia di essere ricordata per avere gestito malamente la vicenda più difficile delle nostre generazioni.