L’Immacolata ci apre il cuore al Natale

vescovo Camisasca

Il vescovo di Reggio Emilia e Guastalla, monsignor Massimo Camisasca, mercoledì 8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione della Santa Vergine Maria, ha presieduto la Messa nella Cattedrale di Reggio Emilia. Qui sotto il testo dell’omelia.

Cari fratelli e sorelle,

la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria costituisce ogni anno il grande portale attraverso cui passare per preparare i nostri cuori al mistero del Natale. Siamo nel tempo dell’Avvento e la Chiesa ci invita a guardare a Maria, alla sua bellezza e alla sua purezza, come strada privilegiata del nostro incontro con Gesù che viene.

Che cosa c’entra la bellezza e la purità di Maria con il Natale? E che cosa significa che la contemplazione del mistero della Vergine ci può disporre ad accogliere Gesù? Il sommo poeta ci viene in aiuto attraverso le parole che nel XXXII canto del Paradiso si sente rivolgere da san Bernardo: “Riguarda ormai nella faccia ch’a Cristo / più si somiglia; ché la sua chiarezza / sola ti può disporre a veder Cristo”[1]. Il volto di Maria, anche nei suoi tratti somatici, è quello più somigliante al volto di Gesù. Dante, con questa osservazione carica di suggestione e tenerezza, esprime qui il mistero della concezione verginale di Gesù: senza concorso di uomo, per opera dello Spirito Santo, la madre ha concepito il Figlio e così questo Figlio, eternamente generato dal Padre, trae da lei sola e dal suo patrimonio genetico, i caratteri somatici della sua umanità, la forma e il colore dei suoi occhi, i suoi capelli, le sue labbra, il suo portamento… Con il linguaggio immediato del genio poetico, Dante ci conduce al cuore di uno dei dogmi più importanti della nostra fede non attraverso spiegazioni teologiche, ma per la via pulchritudinis, la via della bellezza. Vorrei soffermarmi brevemente sul valore profetico di questo approccio alla fede di cui la Chiesa ha sempre sottolineato l’importanza[2].

Le sfide che il contesto in cui viviamo pone all’evangelizzazione ci costringono a ritornare all’essenza dell’annuncio cristiano. Non possiamo più dare per scontato quel retroterra sociale e culturale intriso di cristianesimo che per tanti decenni ha accompagnato e sostenuto la vita delle persone, dei giovani, delle famiglie, anche di coloro che si allontanavano dalla Chiesa. È urgente tornare ad un lavoro umile e prezioso di nuova alfabetizzazione della fede.

In questo affascinante cammino è evidente a tutti che non si può partire dai dogmi, nè fare appello ad una conoscenza pregressa dei contenuti della fede o, men che meno, ad un approccio morale che ruoti attorno ai comandamenti. Gesù stesso, con la sua incarnazione e la condivisione della sua vita con gli apostoli, ci ha mostrato una strada diversa, una strada in cui l’insegnamento, la rivelazione dei misteri della fede e i comandamenti non sono sminuiti, ma trovano il loro posto all’interno di una esperienza di comunione e di bellezza. La verità fa sempre appello allo stupore generato dall’incontro con qualcosa che ci attrae, all’esperienza di un contraccolpo, di una corrispondenza con le attese profonde del cuore dell’uomo. Il Signore, con il suo esempio e le sue parole, ci ha mostrato che esiste un legame profondo tra la conoscenza e l’amore: si può conoscere solo ciò che si ama e si ama solo ciò che si lascia conoscere e ha la forza di attrarre le nostre vite. Sant’Agostino, nel suo De musica, si domanda: Num possumus amare nisi pulchra?, «Che altro si può amare se non le cose belle?»[3]. Il poeta e pittore francese Max Jacob fa sua questa domanda chiedendosi a sua volta: «Il bello non è forse la strada più sicura per raggiungere il bene?».

Non dobbiamo, tuttavia, essere ingenui. Soprattutto nel contesto destrutturato in cui viviamo, lo stesso senso della bellezza è offuscato e ha bisogno di essere rieducato. Occorre lasciarsi prendere per mano ed essere accompagnati a fare l’esperienza della gratuità della bellezza, affrancata dalla dimensione puramente estetica, edonistica o funzionalistica a cui essa è oggi spesso ridotta. Lo spazio dato alla bellezza come strada alla verità e al bene è un impegno di lotta continua contro ogni sua contraffazione. È proprio vero ciò che ciò che Dmitrij Karamazov confida a suo fratello Alëša ne I fratelli Karamazov: «La Bellezza è una cosa terribile. È la lotta tra Dio e Satana e il campo di battaglia è il mio cuore».

Come ci ha ricordato la prima lettura, siamo feriti dal peccato originale, c’è qualcosa che in noi subisce il fascino del male e senza qualcuno che restauri in noi la capacità di cogliere la bellezza autentica è impossibile risollevarsi. Torniamo così all’espressione che Dante pone sulle labbra di san Bernardo: “Riguarda omai nella faccia ch’a Cristo / più si somiglia; ché la sua chiarezza / sola ti può disporre a veder Cristo”. Per contemplare la bellezza vera, che è il volto di Cristo, occorre una preparazione. Questa preparazione è costituita per il poeta (e per ciascuno di noi) dalla contemplazione della luce – la sua chiarezza – che emana dal volto di Maria. Questa luce è affascinante, ma anche terribile. Essa, infatti, ha il potere di purificare e di bruciare tutte le impurità dei nostri occhi e del nostro cuore. Purifica suscitando in noi la nostalgia per la purezza originaria, la coscienza delle nostre ombre, la contrizione per i nostri peccati e, nello stesso tempo, riempiendo il nostro animo di una speranza certa e di una gioia calma.

Non tutto ciò che ci attrae ha questo potere purificante e liberatorio, necessario per accogliere la grazia di Cristo che viene. Per questo la Chiesa ci indica la strada più sicura: ci invita a guardare Maria, a lasciarci invadere dalla sua luce, a ripetere con lei la parola della nostra disponibilità che ancora una volta abbiamo ascoltato nel Vangelo: Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola (Lc 1,38).