Il Diavolo e ‘Mammona’ il denaro

don Giuseppe Dossetti Centro Giovanni XXIII Reggio Emilia

Oggi voglio correre il rischio dell’impopolarità, come sostenitore di idee considerate retrograde. Anzitutto, credo nell’esistenza e nella forza del diavolo. All’inizio della Quaresima, la Chiesa legge nel vangelo l’episodio della triplice tentazione di Gesù nel deserto (Mt 4,1-11). Penso che non sia una parabola e neppure il travestimento simbolico di fenomeni psicologici; penso che la tentazione sia reale e che Gesù l’affronti come la deve affrontare ogni uomo. La posta in gioco, infatti, è comune a lui e a noi. Il tentatore la mette immediatamente sul tavolo: “Se sei figlio di Dio …”. Se sei figlio di Dio, perché, allora, ti capitano eventi spiacevoli, come la povertà, la malattia, la morte? Ma nella terza tentazione, la maschera viene gettata e un Adamo, ancora una volta, viene sollecitato a liberarsi di una tutela oppressiva: “Il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: Tutte queste cose io ti darò, se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”.

La tentazione sembra essere una proposta sgangherata. Si deve però osservare che Satana è un padrone tollerante: egli non vieta di ricorrere alle venerabili tavole della Legge per le decisioni attinenti alla vita privata, ai valori etici; un dio serve, per affrontare i temi supremi della vita oltre la morte. Se però si vuole avere efficacia nella storia, nella politica, nell’economia, nella carriera, Satana sembra dire, “qui comando io, qui devi dare retta a me”. Il mite, ma inflessibile Maestro di Nazareth, afferma, invece: “Sta scritto: Il Signore Dio tuo adorerai, a lui solo renderai culto”, perché “nessuno può servire due padroni” (Mt 6,24). L’altro padrone è Mammona, il denaro, strumento principe per ottenere il potere.

Qui penso di meritarmi la seconda reprimenda. Mi si dirà, che c’è una radicata e robusta tradizione anticapitalista, nel mondo cattolico. Già Paolo di Tarso scriveva: “Non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via. Quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci. Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati … L’avidità del denaro è la radice di tutti i mali” (1Tim 6,7-10). Ma, si dice, il capitalismo ha saputo correggersi, nel tempo, e ora viene considerato collegato con la democrazia. Inoltre, mi si potrà opporre, con qualche fondamento, che gli stessi cristiani hanno saputo mettere in opera i necessari compromessi.

Vorrei, però, difendere Gesù. Egli non predica un determinato sistema economico. Egli parla al cuore dell’uomo, alle sue intenzioni profonde, e lo esorta alla sincerità con se stesso e con Dio. Il discepolo deve rimanere là dove la sua storia lo ha collocato. Addirittura, nel libro dell’Apocalisse, i cristiani di Pergamo sono elogiati, perché “abitano dove Satana ha il suo trono e tuttavia non hanno rinnegato la loro fede” (2,12ss.). Anche lì, in una situazione estrema, il discepolo può resistere, gli vengono date la luce e la forza necessarie. Si debbono però mettere in campo le opportune difese.

La difesa fondamentale è quella che usa Gesù. Per tre volte, egli risponde al tentatore citando le Scritture: “Sta scritto …”. E’ importante quello che è scritto, ma più importante ancora è il fatto che le Scritture ci rendono interlocutori di un Dio che vuole, con inflessibile e amorosa determinazione, creare o ripristinare il dialogo e la comunione con la sua creatura. Il Mercoledì delle Ceneri, addirittura, abbiamo ascoltato san Paolo dire, “Siamo ambasciatori, per mezzo nostro è Dio stesso che esorta: vi supplichiamo, in nome di Cristo, lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). E’ inimmaginabile: Dio supplica la sua creatura, e la sua volontà di comunione arriva al sacrificio della croce.

Se rispondiamo con un po’ di sincerità a questo appello, sapremo trovare la strada della libertà, anche nelle situazioni di desolazione, come la guerra. Ma è necessaria la conversione del cuore, la supplica sincera, l’ammissione della nostra povertà, perché “Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili” (1Pt 5,5). E’ grazia trovare la via della riconciliazione e della pace. Quello che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio (Mc 10,27). Per questo, è importante vegliare e pregare, per non essere sopraffatti dalla rassegnazione e dallo sconforto (Mc 14,38).