Intervista a Bob Messini, il suo primo album: “Tutto qui”

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Intervista di Elisa Alloro – Talentuoso attore bolognese, classe 1962, esordisce con il film “Una gita scolastica” di Pupi Avanti nell’83. Fa cabaret, tv, teatro e musica. Sì, Bob Messini decide, diventato grande, di dare sfogo ad una passione coltivata fin da piccino: fare musica.

E di farla, come probabilmente solo gli attori poliedrici sanno fare, con profondità ed ironia nel contempo. Molto bene quindi.
La sua ultima fatica si chiama “Tutto qui”: è il suo primo album, è fresco di stampa e decisamente completo.

Un disco, prodotto da Luigi Tortato di Sì Produzioni e acquistabile on line, che racchiude il suo teatro-canzone: 21 brani, 21 storie; 30 anni di vita compressi in un disco pieno di emozioni caleidoscopiche, contrastanti, godibilissime.

Lo ascolto, mi interessa, lo chiamo, è un amico e salutandolo gli dico: <<Bob, voglio farti un paio di domande>>.
E lui ridendo, non ci pensa un secondo: <<Di quelle serie, o di quelle nostre?>>.
Perché Bob è così: uno degli “ultimi romantici”, di quelli che cercano l’infinito, il desiderio del desiderio, lo slancio verso l’Assoluto; quelli che reagiscono alla razionalità con emotività, fantasia, immaginazione.
E allora <<un po’ e un po’>>, rispondo, come ci andrà e come è giusto che sia.

Suoni da sempre il pianoforte e lo suoni anche molto bene. Quando hai sentito bruciare il sacro fuoco nel petto?

A dir la verità, mai. Pensa che la traccia Per amore l’ha scritta mio padre. Era un gran jazzista, ha sempre suonato il pianoforte, anche se non lo ha mai fatto per lavoro.
Io l’ho sempre avuto lì, l’ho sempre amato: sono nato con il pianoforte in casa, con la sua musica, ma non ho mai sentito il fuoco dentro, anzi, magari mio padre avrebbe voluto che diventassi un virtuoso, che affinassi la tecnica, mentre io suonavo già così anche a dodici anni, benino e mi andava bene così. Ho ignorato le sollecitazioni, poi volevo recitare. Anzi, ho sempre usata troppo poco la musica nella mia professione, pur essendo una cosa a cui non ho mai rinunciato.
Ho fatto il mio primo spettacolo di teatro-canzone con Luttazzi nel ’92.
La prima volta che vidi Gaber a Teatro rimasi senza parole, immaginati quando nel 2005 scoprii di essere finalista al Premio che portava il suo nome; poi con Musicultura, devo dire, mi sono tolto un’altra grande soddisfazione.

Infatti, sarei arrivata lì. Un giorno, un paio di anni fa, ti metti in testa di partecipare a Musicultura e arrivi in finale. Statistica, che ovviamente contenuta in Tutto qui, vince come “Miglior Testo”.

Mi sono iscritto e siamo andati – piano e contrabbasso, io e Camilla Missio, che mi segue affettuosamente ovunque – senza nessuna aspettativa. Siamo arrivati allo sbaraglio ma siamo arrivati fino in fondo, ed è una cosa molto bella. Suonare all’Arena Sferisterio di Macerata, davanti a 150.000 persone è impagabile. Poi è stata l’ultima volta che ha presentato Frizzi, con cui avevo fatto “Europa Europa” nell’89. Indimenticabile.

[STATISTICA – Musicultura 2017]

 

Hai fatto una campagna social di promozione del CD molto divertente, chiamando in causa colleghi amici anche molto famosi, ma hai provato con mano che la gente ride volentieri, ma poi non compra: perché è così difficile “vendere” cultura in Italia?

Accidenti, è una domanda troppo difficile. Siamo nel mondo dell’assoluta iper-comunicazione. Probabilmente ho fatto una campagna, vero, la si può chiamare così, ma non l’ho studiata a tavolino.
Sono partito facendo un video a caso, per gioco, poi ho capito che mi stavo divertendo e adesso mi son messo in testa che ne voglio fare anche uno al giorno. Ma non era premeditato.
Non si vende cultura perché la gente non ha tempo, non ha voglia, ascolta più volentieri storie di costume surreali come il caso Prati-Caltagirone. Sto scoprendo adesso che molti non hanno nemmeno più il lettore cd: è la fine di un ciclo. In questo disco ci sono quasi trent’anni di canzoni, perché Statistica l’ho scritta trant’anni fa. Sì, sono uno dal respiro un po’ lungo; mi piace andare in testa ai cavalli, poi…

Ci sono dei brani che amo particolarmente: Statistica è uno, il mio primo amore; ma anche Si d’accordo verrei, Cherie, tanto per citarne un paio. Come nascono i tuoi brani? Qual è la tua condizione ideale? Quando scatta la vena creativa? Se uno da buio e solitudine; ami la pioggia, il whisky, la macchina, la luce del sole?

Non c’è una condizione ideale. E’ successo che abbia composto mentre ero in macchina; ti viene in mente una linea melodica e cerchi di fissarla finché sei in tempo. C’è una magia però, che a 57 anni ancora non mi spiego, che nasce quando mi siedo al pianoforte. E’ “creatio ex nihilo”, creazione dal nulla, con le mani che viaggiano da sole; è magia pura, una condizione unica.
Poi ci sono i casi come Statistica, nata mentre stavo davvero stavo studiandola; Sono sul 20, sempre autobiografia e nata mentre una signora anziana mi chiedeva dove fossi. Mi innamoro anche dei tormentoni. Adesso ce l’ho con <<è un disco pazzesco>> e lo ripeto sempre, in continuazione. Ma l’artista è anche sempre un po’ bambino e ha bisogno di ripetere le cose cento volte.

La musica ideale deve saper tener compagnia, poter arricchire, far gasare, piangere o ridere? Sigilliamo una condizione temporale dell’anima, in attesa di trovare qualcuno che “passi da li”…

Si, sono bolle temporali. A volte scrivo cose come fossero quasi recitate, ad esempio Se quasi verrei; altre volte fin troppo classiche, come Guapa Morena. A me ultimamente piace molto Cherie, perché è un insieme di cose: lei esiste veramente, è un’amica parigina che ho rivisto dopo tanti anni. I primi versi li ha scritti un amico che voleva a tutti i costi scrivere qualcosa per me. Non pago, poi, è nata in un periodo in cui prendevo davvero un mucchio di multe. Si passa da qualche delirio personale, ad istanti di vita che segnano, come Professore, una canzone scritta in un periodo molto triste della mia vita, mentre facevo le notti in ospedale al capezzale di mio padre e in quel periodo, peraltro, anche io insegnavo. Sì, ogni canzonie è una storia a sé.

Che si fa ora, Bob? I prossimi progetti? Vale anche la pensione…

Intanto, il 19 giugno alle 19, in centro a Bologna, alle Librerie Coop Ambasciatori di via Orefici 19 – vedi che mi piacciono i tormentoni – presenteremo Tutto qui. La location è perfetta, perché potremo suonare dal vivo: io sarò al pianoforte e mi accompagneranno Andrea Poltronieri al sax e Camilla Missio al contrabbasso.
Poi farò una piccola parte in una serie tv che gireremo in provincia di Reggio Emilia, a Gualtieri: La Guerra è finita, di Michele Soavi, prodotta da Palomar.
Il personaggio che farò è un uomo un po’ burbero, insolito rispetto ai ruoli che solitamente interpreto; il prete, il bonaccione, l’amico arrendevole. Ne “La pazza gioia” facevo il marito ancora innamorato della ex moglie che si fa manipolare…

I personaggi che hai interpretato come attore in carriera, hanno mai influenzato l’uomo di tutti i giorni?

Mi sono accorto dopo, facendo proprio quel ruolo, magari l’ex marito sottomesso, che non a caso anche io avevo un’indole un po’ “maso” in certi momenti. Ne “La pazza gioia” appunto, ero perso per Valeria Bruni Tedeschi e poi pochi mesi dopo, mi sono realmente schiantato per una donna; sono andato in frantumi come nel film. Quando Paolo Virzì mi ha raccontato il personaggio, non mi sono accorto subito che probabilmente ero io: non mi hanno influenzato i ruoli, probabilmente mi sceglievano perché io ero un po’ così.

Da cercare, ascoltare, comprare. Tutto qui.