Reggio Emilia, città relativamente colta e gentile, sembra oggi voler diventare la capitale del pedale. Trentaquattro milioni di euro, in gran parte provenienti da Pnrr e Regione, saranno investiti per ampliare la rete ciclabile e rendere la città “a misura di bicicletta”.
Lodevole intento, in apparenza. Ma ogni progetto di mobilità racconta una visione del mondo: e qui, la visione pare quella di chi sogna un ritorno a un’Arcadia che non esiste più. Perché Reggio non è Amsterdam. Non è Copenaghen. È una città di 173mila abitanti senza tangenziali, senza parcheggi d’accesso al centro, senza multipiano né in superficie né sottoterra. Una città che, nelle ore di punta, si blocca come un organismo affaticato, prigioniero delle proprie arterie.
Eppure si investe tutto sulla bici, come se bastasse pedalare per liberarci dallo smog e dalla modernità. Il risultato è una mobilità a due velocità: chi può, scatta in sella e rivendica purezza ecologica; chi non può – anziani, malati, genitori, lavoratori che si spostano per necessità – resta intrappolato nel traffico o nell’attesa vana di un autobus che non arriva mai. Perché diciamolo: i mezzi pubblici reggiani non sono un’alternativa, ma un alibi.
L’ideologia del “meno auto, più bici” funziona solo dove esiste un sistema efficiente di alternative. A Reggio, invece, manca tutto ciò che precede la bicicletta: la logistica, la pianificazione, la visione urbana integrata. Qui si salta direttamente al capitolo finale, senza aver scritto i precedenti. E intanto, l’inverno padano ricorda a tutti che la bici non è per ogni stagione né per ogni età. C’è chi parla di “città a 15 minuti”, ma l’espressione suona come una favola metropolitana raccontata a un bambino per farlo dormire. Il mondo reale viaggia a un’altra velocità: frenetica, interconnessa, inevitabilmente complessa.
Il problema non è la bicicletta, ma l’assolutismo urbanistico che la eleva a simbolo morale, come se pedalare bastasse a salvarci dal caos. L’ambiente si difende con l’intelligenza, non con le crociate. E una città moderna non si misura dal numero di piste ciclabili, ma dalla libertà di scelta che offre ai suoi cittadini.
Reggio avrebbe bisogno di tangenziali, parcheggi di interscambio, una rete di trasporti pubblici funzionante, e solo dopo di una fitta trama ciclabile. Ma qui si preferisce partire dall’epilogo, e condannare chi guida come se fosse un peccatore ambientale. La bicicletta è un simbolo nobile della civiltà reggiana. Ma trasformarla in dogma è un errore da catechismo urbano. Perché la città del futuro non è quella che abolisce le auto: è quella che non costringe nessuno a scegliere tra il pedale e il volante.







Chiamate Kim Jong !
Sempre acuto e tutto azzeccato, ho già scritto varie volte al comune che alcune piste sono finte e pericolose e che andare in bici è troppo rischioso! Liberiamo la città dalle auto e allora verrà naturale usare la bici, in sicurezza.
Per città senza auto intendo da Rivalta in giù, dal campo a volo, dal foscato etc …
Ottima idea, immediatamente praticabile: tu inizia, io ti seguo.
Se ci fosse un filtro anti cazzate tu non avresti scritto nemmeno una sillaba.
Direttore, si corrregga: la Città delle Persone non è dotata di piste ciclabili, bensì di Superciclabili e Greenway. La differenza è palpabile, veda ad esempio via Tenni dietro l’ipercoop Baragalla: chi non si entusiasmerebbe davanti a tanta meraviglia? La Danimarca vi fa un baffo!
Ricordo il predecessore di Kar Lotta dichiarare, in un incontro al Centro Insieme di Via Canalina circa 15 anni fa, a proposito della scellerata manomissione della rotonda dell’Acquedotto via Gorizia: “…vi assicuro che dopo questa sistemazione in orario di punta non saranno necessari più di 15 minuti per andare da Rivalta a Mancasale…”. Forse intendeva in elicottero…
suggerirei ai nostri illuminati e visionari amministratori di osare di piu’…..perche’ limitarsi al solo pedalaRE…? la vera rivoluzione sara’ camminaRE…tutti a piedi, aboliamo ogni mezzo di trasporto…cosi’….trapassati dal futuro.