Il vescovo di Reggio monsignor Camisasca alla festa delle Case della carità

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Oggi, nella solennità di Santa Teresa di Gesù, il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla Massimo Camisasca ha presieduto alle 16.30 la Messa della festa delle Case della Carità al Palasport di Reggio Emilia.
Di seguito l’omelia preparata dal pastore per questa celebrazione.

“Eminenza, Eccellenze, Autorità,
Cari sacerdoti e diaconi, cari fratelli e sorelle!
Ogni anno ritorna la festa di Santa Teresa D’Avila, Dottore della Chiesa, e ritorna questo importante e desiderato appuntamento: la celebrazione eucaristica che vede radunati, assieme ad alcuni vescovi, molti sacerdoti e diaconi della nostra Chiesa e di Chiese sorelle, i fratelli e le sorelle delle Case della Carità, i religiosi e i laici consacrati, le famiglie, i volontari e gli ospiti.
La solennità di questa ricorrenza annuale è evidenziata anche dal fatto che oggi alcuni tra voi rinnoveranno i propri voti in modo pubblico o segreto, mentre alcune famiglie rinnoveranno le loro promesse; gli ausiliari riceveranno i crocifissi; tutti i consacrati nel mondo riceveranno la benedizione del vescovo. Una sorella, Suor Stefania, davanti a me e alla sua Superiora, pronuncerà i voti solenni e definitivi.
Durante questi sette anni, nelle omelie pronunciate in questa occasione, sono ritornato più volte a commentare il significato della vostra presenza nella Chiesa, il dono particolare che avete ricevuto, il cuore del vostro carisma nell’espressione delle “Tre mense” (l’Eucaristia, la Parola e i Poveri), la necessità continua di un rinnovamento della vostra vita, alla luce dei doni che avete ricevuto da don Mario Prandi e da Suor Maria. Questa sera, in una celebrazione così ricca di segni e di avvenimenti, di parole e di canti, desidero affidarvi semplicemente tre parole, raccogliendole dalle letture di questa celebrazione.

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Traggo la prima dal profeta Isaia (Is 61,1-9). Riflettendo su quanto è accaduto alla sua vita, il profeta parla di una consacrazione. Cosa vuol dire consacrazione? Al di là del suo significato tecnico, che ha assunto nella teologia e nel Diritto Canonico, questa parola esprime la nostra relatività a Dio. Egli ha voluto ciascuno di noi per mandarci. All’origine della nostra vita sta una missione. E ciò vale per i laici e i preti, per le sorelle e i fratelli, per chi è chiamato a vivere la vocazione famigliare o nella verginità consacrata. Siamo stati voluti per essere mandati a portare un annuncio di gioia a tutti gli uomini.
Qual è il contenuto fondamentale di questo annuncio? Che Dio si prende cura di ciascuno di noi, fascia le nostre piaghe, ci libera dalla schiavitù del peccato, consola la nostra afflizione. Attraverso questo annuncio, il profeta vede da lontano l’incarnazione del Figlio di Dio. Non è un caso perciò che la Chiesa, nella sua Tradizione, abbia a lungo riflettuto sull’episodio avvenuto nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,16-30): Gesù stesso ci rivela che il profeta Isaia nel suo oracolo guardava a Lui. I poveri aspettano Gesù. Per quanto possa essere giusto e anche doveroso occuparci di loro a partire dalla loro sete e fame materiale, dal loro bisogno di libertà esteriore e di guarigione dalle malattie, è Gesù in realtà che essi attendono. Egli è venuto per loro, è venuto per tutti. Nessuna promozione umana potrà mai colmare la sete di Cristo che c’è nel cuore di ogni uomo.

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La seconda parola su cui voglio riflettere con voi è tratta dal brano della Lettera ai Romani che abbiamo ascoltato (Rm 8,22-27). San Paolo ci parla di speranza e di preghiera. Siamo ben consapevoli che la nostra vita si svolge in una tensione continua fra ciò che già ci è stato donato e ciò che ancora non vediamo. Talvolta questa attesa diventa così lunga e faticosa da portarci alla disperazione. Perché Dio non interviene presto e in modo definitivo? Questo era il grido continuo del popolo d’Israele. Ed è anche il nostro grido di oggi. In realtà, come ci ha rivelato e dimostrato Gesù, Dio non è mai sordo alle nostre domande. Egli però conosce il nostro bene più di noi stessi e le sue risposte non sempre coincidono con le nostre attese. Sperare dunque significa aprirci ai tempi di Dio. Significa soprattutto pregare lo Spirito, perché soltanto lui conosce i disegni di Dio.
Preghiamo dunque lo Spirito Santo affinché la Congregazione Mariana delle Case della Carità viva il proprio rinnovamento in un ascolto rinnovato del carisma di don Mario e in una nuova e intelligente donazione alla vita dei poveri.

La terza parola viene a noi dal Vangelo della Samaritana (Gv 4,5-24). Una donna s’incontra per grazia con Gesù Cristo, senza nessun apparente preavviso. Ella aveva dentro di sé una profonda sete, che nasceva da un disagio radicale. La Samaritana fu attratta dalla disponibilità di Gesù, dalla profondità del suo sguardo e delle sue parole, dalla sua conoscenza del cuore dell’uomo. Questo è ciò di cui ciascuno di noi ha bisogno e di cui hanno bisogno gli uomini e le donne di tutto il mondo: incontrare l’umanità di Gesù, nella quale si manifesta il volto esigente e misericordioso del Padre.

Durante questa celebrazione chiederò per me e per ciascuno di voi che si rinnovi ancora una volta, e con sempre maggiore radicalità, la grazia di questo incontro con il Signore Gesù, l’unico che può trasformare, consolare e rendere bella la nostra vita. Amen”.