Il virus circola nel nostro paese con un’intensità superiore a quella della prima ondata. Le cure praticate ai malati servono a mitigare le conseguenze dell’infezione, con risultati alterni. I morti da Covid non superano oggi quelli di marzo e aprile scorsi, ma è verosimile che presto si arrivi a quelle cifre.
Terrorizzata dalla recrudescenza del virus, gran parte della popolazione ha ora paura e al primo sintomo di tosse o febbre si riversa negli ospedali. Molti non manifestano neppure sintomi ma ugualmente temono il peggio. A differenza della prima ondata, ora tutti o quasi scoprono di avere un parente o un amico risultato positivo. La sensazione di prossimità all’infezione aumenta in fretta e di conseguenza si vive in uno stato di preoccupazione permanente. Che fare?
Ieri la mega multinazionale del farmaco Pfizer ha fatto filtrare una notizia che ha infuso ottimismo tra gli investitori di tutto il mondo, ossia l’efficacia di un vaccino anti Covid la cui disponibilità si conterebbe in pochi mesi anziché molti anni. È probabilmente l’unica buona nuova che ci si possa attendere sul fronte pandemico. Sono molte le società di Big Pharma impegnate nell’elaborazione di un vaccino in grado di renderci immuni. Il business ad esso legato è enorme e va oltre il mero ritorno economico: sono in ballo interessi geopolitici e strategici di primaria rilevanza. In attesa che arrivi il prodotto salvavita su cui i governi fanno affidamento si tratta di riuscire a sopravvivere. E qui le notizie non sono buone.
Quasi ovunque negli ospedali italiani si sta raggiungendo il picco della sostenibilità. I pronto soccorso sono presi d’assalto e non riescono a smaltire le richieste di aiuto. Numerose strutture già stracolme di malati gravi cercano spazi alternativi per organizzare posti letto di emergenza. C’è già chi parla di ospedali da campo e di medicina di guerra. L’ordine dei medici ha chiesto un immediato e completo lockdown nazionale della durata di almeno un mese.
Il governo nicchia, si divide, litiga con le regioni che pure si muovono ciascuna per conto proprio aggravando lo stato di confusione. La divisione per fasce territoriali delle misure stabilite nell’ultimo dpcm sembra avere confini labili: i colori sulla cartina cambiano in fretta, la gente si adegua di malavoglia lamentando comprensibilmente di subire danni economici, esistenziali, sociali. Intanto il virus continua a circolare e a contagiare ogni giorno decine di migliaia di persone.
Ma i guai non si fermano qui. Il superaffollamento degli ospedali ha conseguenze gravissime sui pazienti portatori di patologie non meno rilevanti delle polmoniti virali. La caduta delle prestazioni in calendario a causa dell’emergenza Covid mette impressione: vengono rinviati a data da destinarsi cicli di chemioterapia, si ritardano interventi di chirurgia già programmati da tempo, così pure vengono spostati anche di mesi interventi su pazienti con problemi cardiovascolari. Per non dire delle patologie minori, anch’esse rinviate a chissà quando.
A essere onesti bisogna riconoscere che il sistema sanitario italiano non ha retto a questa seconda ondata pandemica. Polemizzare serve a poco. Il punto è come cercare di uscirne, sempre in attesa del miracoloso vaccino.
In questo momento la giornata-cardine nelle intenzioni del governo è fissata in domenica 15 novembre, data in cui dovrebbero cominciare a produrre effetti le misure dell’ultimo decreto. Qualora ciò non avvenisse, e i contagi e le vittime continuassero ad aumentare, l’unica carta in mano all’esecutivo resterebbe quella del lockdown nazionale.
Un altro lockdown equivarrebbe a una dichiarazione di resa della politica dinanzi alla progressione del virus. Ma non adottare questa misura estrema significherebbe condannare probabilmente a morte certa altre migliaia di connazionali infetti. Una scelta molto delicata, una responsabilità quanto mai grave.
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