«Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto»

Don Giuseppe Dossetti

Solennità di Cristo Re, Anno C – 24 novembre 2019

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23,35-43).

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

“Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce e ti crederemo”
Gesù scende dalla croce. I segni della terribile flagellazione sono scomparsi; il suo volto esprime bontà e maestà, il suo corpo è “vestito di luce come di un manto”. I soldati sono sbigottiti, arretrano con timore superstizioso; i capi del Sinedrio sembrano statue di pietra. Poi, finalmente, Nicodemo avanza, si inginocchia con la fronte a terra e dice a voce alta: “Sì, veramente tu sei il Messia!” Vengono mandati messaggeri a Caifa; dopo un primo comprensibile momento di incredulità, il Sommo Sacerdote si riveste dei paramenti sacri, si dirige alla porta della città, si prostra, poi invita Gesù a salire al Tempio. La folla di Gerusalemme accorre, i cortili sono colmi di gente festante. Il Messia viene accompagnato davanti al Santuario: egli entra nel Santo dei Santi e vi resta a lungo. Quando esce, sale sulla tribuna di Salomone e per la prima volta parla. “Non abbiate paura. Ora sapete che veramente il Regno di Dio è arrivato”.

Pilato è stato avvertito subito dal centurione. Alcuni tribuni sono stati mandati a verificare l’accaduto; al loro ritorno, la legione, che era stata messa in stato d’allerta, riceve l’ordine di mettersi in marcia verso Cesarea. Gerusalemme è già percorsa da gruppi di zeloti armati; alcuni sbarramenti vengono facilmente travolti, con minimo spargimento di sangue. La folla preferisce entrare nella fortezza Antonia e nel Palazzo di Erode: il saccheggio incomincia, alcuni servi, sorpresi nel palazzo a portar via le cose più preziose, vengono identificati, accusati di collaborazionismo e uccisi sul posto. Il Sinedrio provvede, dopo una seduta notturna, a istituire un tribunale per purificare Israele da chi si è contaminato con i pagani.

Gesù ha posto il suo quartier generale nel Tempio. Ha un colloquio riservato con Caifa, che viene pregato di rimanere in carica fino a ulteriori disposizioni. Gli Undici apostoli vengono rintracciati e portati al cospetto del Messia, che li ammonisce benevolmente e li manda in Galilea per dare la notizia e per dire di tenersi pronti, perché presto vi sarà una visita che provvederà a una radicale riforma sociale. I discepoli sono ben contenti di allontanarsi da Gerusalemme: essi si trovano a disagio in mezzo all’aristocrazia sacerdotale e agli esponenti del radicalismo nazionalista.

Viene chiamato Barabba, al quale il Messia rivolge cordiali parole di amicizia e di congratulazione. Gesù gli dice: “Il tuo errore è stato di voler precipitare i tempi e di voler aiutare Dio, che, come vedi, ha realizzato il suo disegno e i tuoi desideri. Ora, devono cessare le divisioni in Israele. La guerra con Roma sarà la prima urgenza; Pilato, certamente, avviserà il legato di Siria e cercherà di assalire Gerusalemme, probabilmente cominciando il tentativo di riconquista dalla Galilea. Non abbiate timore: il Padre mio manderà dodici legioni di angeli e i malvagi saranno distrutti. Tu però organizza l’esercito di Israele, fa’ cessare i saccheggi e mantieni l’ordine in città. Mi rendo conto che con i sacerdoti tu non hai un buon rapporto e comprensibilmente li accusi di collaborazionismo. Alcuni casi più gravi saranno puniti, ma per il resto verrà proclamato un grande Giubileo. Mi aspetto da te una fedeltà assoluta. Dopo tutto, tu mi devi la vita”. Barabba esce dal colloquio felice: il Messia ha conquistato la sua anima. Barabba guarda le cicatrici delle torture romane e si dice: “Sono io il vero precursore del Messia, non Giovanni il Battista”.

II

“Se sei il Figlio di Dio, salva te stesso e noi”.

Il vento, che sale dalla Geenna, diventa una brezza leggera e profumata. L’aria si riempie di scintillii impalpabili. Mani invisibili passano sul corpo del ladrone: egli si sente trasportato come da braccia materne, la vita gli rifluisce nelle membra, la sua mente viene liberata dalle angosce di pochi momenti prima. Ora, egli prova un sentimento di pienezza e di gioia totale. Sa di poter tornare da sua moglie e dai suoi bambini. Il futuro non lo preoccupa; avverte, in modo oscuro, che è iniziato un mondo nuovo, nel quale ci sarà posto anche per lui.

I familiari di coloro che egli aveva violentato e ucciso erano venuti per assistere al supplizio. Essi pensavano che, dopo tutto, giustizia veniva fatta, anche se i loro cari non sarebbero stati loro restituiti. Dopo aver assistito a un epilogo così inaspettato della vicenda, tornano a casa scontenti.

Il ladrone si avvia per entrare in Gerusalemme. Passa accanto alla croce del suo compagno, che vi è ancora appeso, ma non se ne accorge.

III

“Noi abbiamo ricevuto il giusto per le nostre azioni”.

Disma, l’altro ladrone, è rimasto in croce. In effetti, egli non ha chiesto di essere liberato da quel supplizio. Le due croci accanto a lui sono vuote, egli è rimasto solo. Ripensa alle parole che ha pronunziato pochi minuti prima: “Lui non ha fatto nulla di male, noi riceviamo il giusto per le nostre azioni”. Adesso, quelle parole gli sembrano esagerate, frutto di quel timore religioso che assale l’uomo di fronte alla morte. Probabilmente, i suoi sensi di colpa erano esagerati; poi, in definitiva, chi ha dato ha dato e chi ha preso ha preso. Ma probabilmente il Messia metterà a posto tutto. Il problema adesso è che nessuno viene a toglierlo dalla croce. Questo non è giusto.

Disma muore arrabbiato.

IV

Il male ha una concretezza e pesantezza, alla quale non può essere posto rimedio semplicemente ribaltando le situazioni, “facendo giustizia”, riparando ai torti, risarcendo coloro che hanno subito. Il male resta. Resta sia il male che si è fatto che quello che si è subito. Auschwitz non può essere dimenticato: potranno essere operati risarcimenti, ma saranno sempre soltanto risarcimenti incompleti. Israele si sentirà in credito fino alla fine dei tempi.

I goyim dell’Europa cercheranno di dimenticare. Le giustificazioni possono essere trovate. Dopo tutto, i figli non sono responsabili dei delitti dei padri. Poi, la vita continua, anzi, deve continuare. Inoltre, la situazione del mondo è totalmente cambiata. In ogni caso, i risarcimenti sono stati dati; ancora qualche anno, poi scompariranno gli ultimi superstiti di quella orribile stagione. Adesso, i problemi sono altri.

Di fronte alla croce dell’uomo, nessuno si batte il petto.

V

Dio a Auschwitz ha taciuto. Il suo silenzio continua in altri luoghi contemporanei dell’orrore. In compenso, parlano i suoi rappresentanti. La loro diagnosi è semplice: il male è la conseguenza dell’essersi allontanati dalla legge di Dio. Ci devono essere uomini integri, capaci di disciplina e di sacrificio, che ristabiliscano quest’ordine: Dio lo vuole! C’è chi si oppone: queste resistenze vanno superate, anzitutto raggiungendo il potere politico e economico, che permetta di ordinare la società; se non basta, se la resistenza è troppo forte e malvagia, ben venga la forza militare.

Ma anche così, anche se dovesse essere stabilito un nuovo ordine, anche se tutto il mondo si ritrovasse in pace sotto un governo autorevole, giusto e forte, chi ha subito il male e l’ingiustizia continuerebbe a chiedersi: Dio, dov’è, dov’era? Allo stesso modo, chi l’ingiustizia l’ha commessa, ripeterebbe la frase di Lady Macbeth: “Tutto il mare non è sufficiente per rimuovere il sangue da queste piccole mani”.

Anche coloro che, avendo raggiunto l’apice del potere, fossero responsabili convinti e soddisfatti del nuovo ordine mondiale, continuerebbero a chiedersi: “Dio, dov’è?”. In un primo tempo, essi hanno pensato: “Dio è con noi”; ma ora, giorno dopo giorno, si rendono conto dei compromessi che sono costretti a fare con la propria coscienza, del fatto che i loro sudditi sono inguaribilmente attratti dal male, che bisogna comunque concedere qualche sfogo ai loro istinti. Forse Dio li ha aiutati a raggiungere la posizione che occupano, ma ora ha rivolto altrove il suo volto, lasciando loro una pesante delega in bianco. I più superficiali di loro si accontenteranno delle statue che i loro sudditi erigeranno nelle piazze; i più profondi e pensosi comprenderanno lo sconforto di Mosè, di fronte all’inguaribile ribellione del popolo nel deserto; ma, a differenza di Mosè, non intercederanno per i loro sudditi. Sarebbe inutile: il Dio che essi ancora rappresentano, è lontano e tace. In definitiva, è come se non ci fosse. Essi sono rimasti soli. La morte verrà e sarà una liberazione dal peso di un compito, portato avanti con intelligenza e grande forza d’animo: ma la giornata terrena si conclude senza speranza.

VI

Per tutto questo, era necessario che Dio morisse in croce. “Dio era in Cristo, per riconciliare a sé il mondo … Colui che non conobbe il peccato, Egli lo ha reso l’immagine stessa del peccato, perché noi divenissimo giustizia di Dio in lui” (2Cor 5).

Quanto più il male diventa grande, tanto più grande deve diventare il silenzio di Dio. Solo in quel silenzio viene pronunziata la parola definitiva, quella della croce. Essa parla a tutti. Parla alle vittime: “Io sono con te. La tua morte non è inutile, come non lo è stata la mia. Tu sei mio fratello, anche tu sei accolto dalle braccia del Padre; non solo, ma, quando gli uomini, inorriditi per il male che hanno commesso, si chiederanno se c’è una speranza, se c’è un perdono, essi sentiranno che tu, in qualche modo, hai portato, e ancora porti il loro peso. Essi non cercheranno di demolire e nascondere la tua croce; anzi, la conserveranno con religioso amore, perché, assumendo pienamente la responsabilità del male che hanno compiuto, ne trarranno motivo per una vita di umile e generoso servizio”.