Dal Cin: “La mia verità sullo stadio Giglio”

Franco Dal Cin e Zico

Si chiama “Delitto imperfetto. Fatti e misfatti nel mondo del calcio e non solo. Uno su tutti è entrato nella storia” (Aviani & Aviani editori) l’autobiografia scritta da Franco Dal Cin che ha come filo conduttore l’arrivo all’Udinese, nell’estate del 1983, del brasiliano Zico, che allora era il calciatore più forte del mondo assieme a Platini e Maradona: un’operazione al limite della fantascienza, praticamente irripetibile al giorno d’oggi, che all’epoca rese il manager di Vittorio Veneto il numero uno nel suo campo.

Dal Cin, che per molto tempo si era rifiutato di scrivere un libro sulla propria vita, dopo tante insistenze si è fatto convincere per fare chiarezza su quella straordinaria mossa di calciomercato, ma anche su altre tappe della sua storia professionale, compresa quella che lo portò a Reggio. La parentesi emiliana ha avuto un ruolo rilevante nella sua carriera: dopo tanti anni vissuti da direttore sportivo, e quindi da “dipendente”, Dal Cin a Reggio ebbe la possibilità di gestire in prima persona una società, spalleggiato dalla famiglia Fantinel (e non solo).

Oggi che si discute molto sulla mancanza di stadi di proprietà in Italia (la Juventus e la stessa Udinese sono gli unici club in serie A ad averlo), è utile ricordare che fu proprio la Reggiana la prima società – l’inaugurazione risale al 1995 – a dotarsi di un impianto nuovo e di proprietà, lo stadio Giglio. In un capitolo del libro, scritto a quattro mani con il giornalista del Messaggero Veneto Massimo Meroi, Dal Cin dedica ampio spazio alla ricostruzione di quei giorni, passando in rassegna i personaggi che hanno lavorato al suo fianco ma anche gli ostacoli che si è trovato a dover affrontare (non a caso il capitolo si intitola: “Il nuovo stadio Giglio, ma sbatto su… Delrio”).

Nel volume Dal Cin ripercorre anche il progetto tecnico della Reggiana dei primi anni Novanta, ricordando che fu lui il primo a consegnare una panchina professionistica a un certo Carlo Ancelotti, a portare in Italia il portiere brasiliano Taffarel (che poi vinse da titolare e protagonista il Mondiale di calcio di Usa 1994), a far indossare la maglia granata al talentuoso quanto sfortunato centrocampista portoghese Paulo Futre.

Una favola che non fu a lieto fine, ma l’ex presidente della Reggiana ha ancora oggi nella città del tricolore molte persone alle quali è ancora legato, ed è contento di vedere l’attuale Mapei Stadium “curato e gestito con attenzione e professionalità. Mi fa bene al cuore: perché quello è e rimarrà lo stadio di tutta la città, e anche un po’ mio”.