Festival di Primavera in Polveriera dedicato alla montagna reggiana

Ustmamò in Polveriera per La montagna del latte scende in città (foto Sassi)

Nei quattro sabati di questo maggio 2023 i locali della ex Polveriera, luogo topico della rigenerazione urbana a Reggio Emilia sono stati attraversati da un vento di Appennino che ha portato in città i suoi temi e le sue riflessioni mas anche le sue atmosfere: l’ambientazione segnata dalla presenza delle fronde di faggio e di roverella e dal profumo delle ginestre, le sonorità dei canti e delle musiche della tradizione montanara, rielaborate talvolta da una contemporaneità colta e internazionale, il gusto del Parmigiano Reggiano di Montagna che si è voluto proporre nei tratti distintivi di una propria eccelsa qualità.

Un’ambientazione articolata pensata per fare da cornice, più che da sfondo, ad una riflessione urgente e impegnativa. “La montagna del Latte scende in città” è stata l’insegna di questa riflessione organizzata dall’Archivio Osvaldo Piacentini nella forma, un po’ pretenziosa, di un piccolo Festival di Primavera.

Una riflessione, carica di intenzionalità e di significati politici, nella accezione più alta che alla politica si può affidare, mossa dal desiderio di suscitare curiosità e interesse nelle culture e nelle istituzioni urbane neri confronti dell’originale percorso di sviluppo sostenibile nel quale la montagna reggiana è impegnata ormai da un decennio, trovando ascolto e conseguendo risultati inattesi nel panorama delle politiche di coesione territoriali, nazionali ed europee, dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne (la SNAI, nell’acronimo per cui è nota) alla esperienza delle Green Community, circostanze entrambe nelle quali l’appennino reggiano si è proposto come area pilota, regionale e nazionale, e come riferimento di punta di iniziative che hanno raccolto grande attenzione nel Paese.

Non è stata però l’occasione per vantare i successi né, tantomeno, per esibirne i trofei; la ricerca, piuttosto, è stata quella di riflettere, assieme alla città, sui presupposti culturali di quella grande trasformazione che l’intera società europea è chiamata ad allestire, urgentemente, all’insegna della sostenibilità e dell’adattamento al cambiamento climatico.
Una riflessione aperta alla città, compagno di strada e interlocutore necessario di ogni iniziativa che voglia valorizzare, anche come fatto economico, il gigantesco patrimonio di valori ambientali depositato sui rilievi appenninici e farne oggetto di pratiche sociali più consapevoli e più responsabili da parte dei molti gruppi sociali che guardano alla montagna con interesse e desiderio.

Dai residenti che la abitano in permanenza, per nascita o per scelta (caso ormai meno raro) agli abitanti che se ne sono andati mantenendo il legame di una frequentazione frequente o vissuta quasi solo nei sentimenti, ai cittadini metropolitani e cosmopoliti che rivolgono alla montagna uno sguardo curioso e interrogante, espressione di una domanda di qualità ambientale che in montagna vorrebbe trovare nuove opportunità per progetti di vita (e di impresa) che hanno fatto di un certo nomadismo il loro carattere permanente.
La ricerca di una maggiore consapevolezza dei luoghi – una nuova “coscienza di luogo”, diceva il grande economista Giacomo Beccattini – è stata il tratto dominante di questa riflessione che ha voluto interpellare osservatori esterni, protagonisti di primo piano della vita culturale e politica del nostro Paese che hanno avuto occasioni diverse di posare la loro attenzione su questa nostra realtà.

È stato così per il professor Patrizio Bianchi (Ministro dell’istruzione nel Gabinetto Draghi) che la “montagna del Latte la aveva incrociata e riconosciuta nella esperienza di Assessore Regionale alle politiche europee, scegliendola come prima area pilota della SNAI, frequentandone poi le occasioni di avvio della proposta di una “scuola fuori della scuola”, motivo conduttore del progetto “Laboratorio Appennino” che ha concretizzato l’ingente investimento della SNSAI sul capitale umano. E proprio di capitale umano, nel suo rapporto stretto e necessario con il capitale naturale, ci ha parlato il professor Bianchi, nel dialogo intrecciato con il senatore Fausto Giovanelli, Presidente del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano. Mettendo a frutto l’osservatorio privilegiato del suo essere coordinatore delle cattedre UNESCO per il nostro Paese nel considerare e proporre le opportunità che proprio la istituzione di una Riserva di Biosfera del Programma MAB-UNESCO offre a questa nostra Montagna.

Paolo Verri, già giovanissimo primo direttore del Salone del Libro di Torino e di qui approdato alla direzione di Torino Internazionale, agenzia incaricata della produzione del Piano Strategico della Città, prima e più fortunata esperienza in questo campo nel nostro Paese ha accettato l’invito a ragionare sulle diverse condizioni, ma sulle non minori possibilità, nelle quali una azione di pianificazione strategica può realizzarsi, non solo in città metropolitane e internazionalizzate ma anche nei territori, apparentemente al margine, della montagna e delle aree rurali. Forte in questo della recente esperienza di promotore della candidatura e di coordinatore della realizzazione di “Matera Capitale Europea della Cultura” i cui echi non si sono ancora spenti. Ne ha parlato con Giampiero Lupatelli, economista territoriale, che della Montagna del Latte è stato ispiratore e portavoce.

L’esigenza di fare i conti con i luoghi, con la loro specificità e ricchezza di significati, ha portato lo sguardo del Festival ad incrociare alcune specificità di questo territorio, dopo aver cercato di coglierne il valore generale nella loro natura di Riserva di Biosfera o di “Territorio di Progetto” di una strategia nazionale.

La Via Matildica del Volto Santo, cammino devozionale che collega Mantova e Lucca, attraversando il nostro Appennino che della storia Matildica ospita il nucleo centrale, è stato il punto di aggancio di una riflessione che ha cercato di mettere in relazione e in sintonia il registro “alto” delle politiche nazionali per la valorizzazione del patrimonio culturale come leva dello sviluppo locale di molti territori – solo apparentemente minori – del nostro Paese, con la consapevolezza profonda dei valori sedimentati dalla storia sul territorio, sulle esigenze – e le fatiche – della loro ricostruzione riscoperta. Affidato il primo alle parole di Fabio Renzi, Segretario Generale di Symbola, Fondazione per le Qualità Italiane e la seconda a quelle di Walter Baricchi, architetto protagonista di una lunga e colta attenzione alla valorizzazione del patrimonio culturale affiorante nelle tracce dell’insediamento storico della provincia di Reggio e della Regione.

Per chiudere, il luogo dei luoghi, quella Pietra di Bismantova che, nella sua singolarità si propone con tutta evidenza come landmark inevitabile della montagna reggiana. Una pietra miliare, anche, nella costruzione per via letteraria di quella identità nazionale che ha trovato in Dante il suo primo cantore e che è riemersa nella attenzione del 700° dantesco nell’opera monumentale di Giulio Ferroni, professore emerito di Italiano alla Sapienza, che nella Pietra di Bismantova ha voluto cogliere in numerose interviste ai media nazionali il riferimento più vivo e presente al permanere di una immagine riconoscibile e colloquiante con i contemporanei della “Italia di Dante”. Rispondendo alle sollecitazioni di Emanuele Ferrari, insegnante, intellettuale e amministratore della montagna, il professor Ferroni ha coinvolto la platea in una riflessione ancora più profonda sulla necessità di un supporto concreto e materiale, circostanziato nella geografia dei luoghi della produzione culturale, cui la virtualità può offrire veicoli di diffusione ma non può esaurire l’istanza di esprimere la densità del contesto sociale (e naturale).

Proprio della platea resta da dire; una platea numerosa, attenta e partecipe in tutti gli incontri e sempre caratterizzata dalla presenza di una diversa classe di alunni del liceo Chierici che con la sua presenza, fresca e garbata, ha saputo interpretare l’opportunità che una offerta culturale ben temperata possa proporsi davvero come parte del processo educativo.
Buone ragioni, ci sembrerebbe, per provare a riproporre l’iniziativa – mutato tutto ciò che è da mutare, ma forse non è moltissimo – in una prossima edizione del Festival.