Eurydice: il teatro che fa muro

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Eurydice è un’opera contemporanea. Vengono mantenuti i tratti distintivi del genere: il mito, il canto, la musica; ma su questi si è lavorato in termini di sottrazione. Il libretto è composto da sette arie scritte dalla poetessa Nastya Rodionova partendo dal mito di Euridice, che però rimane sullo sfondo, non ne viene raccontata la storia, ma ne vengono sfruttate le suggestioni: Euridice è sola, persa in una città moderna, isolata; Orfeo è presente, ma decisamente secondario come personaggio, non è il suo dramma che viene raccontato.

La composizione musicale, ideata da Dimitri Kourliandski, è ridotta all’osso e profondamente manipolata: la partitura è per soli due elementi: una voce solista e un pianoforte. La struttura è composta da tre livelli: il canto, il pianoforte e la registrazione. Il canto è affidato al soprano Anne-Emmanuelle Davy, che intona in modo ripetitivo i versi delle poesie. Le sette arie si differenziano per variazioni minime. Il pianoforte sopraggiunge nella seconda aria, la musicista Bianca Chillemi suona una melodia lentissima, fatta di note singole e tasti sfiorati ripetutamente. Le lunghissime pause impediscono di percepirne la musicalità. Il terzo livello è composto dalle registrazioni di voce, pianoforte e di rumori urbani. Sulla scena convivono il testo cantato e le manipolazioni elettroniche dello stesso. Euridice, quindi, canta e sente la sua stessa voce rispondergli ad eco.

REPRÉSENTATION DE EURYDICA À L’ÉCOLE NORMAL SUP DE SACLAY LE VENDREDI 13 MARS 2020 DANS UNE MISE EN SCÈNE D’ANTOINE GINGT SUR UNE COMPOSITION MUSICALE DE DIMITRI KOURLIANDSKI AVEC LE DANSEUR DOMINIQUE MERCY LA SOPRANO JEANNE CROUSAUD ET LA PIANISTE BIANCA CHILLEMI

Ad interpretare Orfeo troviamo Dominique Mercy, storico collaboratore del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, che già nel 1975 interpretò questo personaggio nel “Orpheus und Eurydike: Frühlingsopfer”. Mercy si muove in scena memore di quello spettacolo. La relazione con Eurydice rimane però quasi solo mentale, mai veramente espressa su questo palco.

La regia risulta quasi impotente di fronte a questa struttura così complessa e il risultato è molto criptico, poco fruibile. Ci troviamo di fronte ad un’opera che si rivolge quasi esclusivamente a chi di teatro già ne sa; chi può cogliere le piccole evoluzioni del cantato, chi riconosce in Dominique Mercy uno dei grandi nomi del Teatro Danza, chi riesce a cogliere l’intento di disgregazione dell’opera. In questo modo, però, il teatro fa muro a chi vorrebbe avvicinarcisi. La regia non dà appigli per agevolare la comprensione, abbandona lo spettatore a questa ipnosi, che senza i giusti strumenti, rimane senza significato. È pur vero che l’avanguardia spesso si allontana dal concetto di “bello” e “gradevole” (che comunque rimane profondamente soggettivo), etichette del genere in questo contesto sono infatti poco consone; il problema sta nell’autoreferenzialità dell’opera, che si arrocca in una fortezza e parla alla sua piccola cerchia. Lo scarso numero di persone in sala purtroppo conferma questo sospetto. Il prodotto è decisamente in contrasto con lo spirito della casa che lo ospita, il Festival Aperto.

I nostri voti


IDEAZIONE
7
FRUIBILITA’
3