C’è un punto da cui non si può né si deve arretrare: ogni iniziativa giudiziaria che colpisca l’ignominia esercitata contro le donne è un passo necessario, quasi un dovere collettivo. Non può esserci indulgenza, né sfumatura interpretativa, davanti alla violenza. E non può esserci tolleranza verso quelle culture – più o meno mascherate da tradizione, ironia, goliardia – che ancora oggi si ostinano a negare la parità esistenziale, umana ed economica tra uomini e donne. È una battaglia di civiltà, prima ancora che di diritto.
E tuttavia – e qui lo dico come si parla di sé, senza scudi – confesso un certo imbarazzo. Una sensazione sottile, simile a una richiesta preventiva di espiazione morale. Come se, per il solo fatto di essere un maschio adulto, bianco ed eterosessuale, dovessi rispondere di colpe che non mi appartengono, che non appartengono alla mia storia, alla mia educazione, alla mia vita vissuta.
Le colpe di pochi non possono caricarsi sulle spalle dei molti. Di quegli uomini – e sono tanti, più di quanti si riconoscano nel racconto pubblico – cresciuti in famiglie dove l’equanimità era un valore praticato ogni giorno, e la parità tra generi una postura naturale, non un’eccezione da giustificare. Non accetto, sul piano etico prima che logico, accuse generiche, strutturali, che confondono l’identità con il comportamento. Essere maschi non significa essere maschilisti. Né nei gesti, né nella mente, né nella sessualità.
Ho vissuto abbastanza per sapere che il mondo non si divide in uomini sbagliati e donne giuste, o viceversa. Esistono persone luminose – uomini e donne – e persone ferite, ignoranti, incapaci di empatia. L’umano è un miscuglio complesso, non una caricatura sociologica.
Per quanto mi riguarda, l’essere uomo coincide con l’esercizio di alcuni principi naturali: il rispetto dell’altro e dell’altra; la non violenza come orientamento ontologico; il rifiuto dell’abuso e dell’ingiustizia in ogni forma. Non serve un’ideologia a spiegare questo. Serve la fatica lenta dell’apprendere, l’arte discreta del rispetto, la disposizione a volersi bene senza invadere, senza schiacciare, senza aver paura della differenza. La parità non è un manifesto: è una pratica. E praticarla – uomini e donne – è ciò che ci rende esseri umani, prima ancora che figli di una categoria.







Condivido ogni parola ed ogni coraggioso concetto espressi in questo editoriale. Caro Direttore, spero che ciò che hai scritto oggi sia di stimolo ad un confronto e ad una profonda riflessioni tra gli opposti estremismi, presenti spesso sotto traccia anche tra i più moderati ed equanimi rappresentanti dei due sessi principali. Grazie.