E’ lecito chiedere la pace per Gaza

Don Giuseppe Dossetti -1
L’uguaglianza, cioè l’uguale dignità di ogni persona umana, sembrerebbe essere uno dei fondamenti indiscutibili della nostra civiltà, come sancisce, per esempio, la nostra Costituzione. Tuttavia, anche se riconosciamo che ogni essere umano è soggetto di diritti universali, siamo in grado di dare una giustificazione convincente di questo principio? Sorge poi un’ulteriore domanda, ancora più intrigante: il diritto e la storia non vanno forse, oggi, in direzioni opposte? La guerra ha assunto un valore morale e sacrale: dalla Rivoluzione francese in poi, all’avversario non viene riconosciuta la mia stessa dignità, egli deve essere considerato diverso da me e “nemico del genere umano”; vengono proposte giustificazioni morali, storiche o addirittura castali. La negazione dell’uguaglianza genera ordinamenti giuridici, nei quali la violenza è inevitabile.
Anche le religioni vengono chiamate a dare il loro contributo a questa negazione e alle sue conseguenze. Non vi sfuggono neppure l’ebraismo e il cristianesimo. Chi ha approfondito il legame che può generarsi tra religione e violenza è stato l’apostolo Paolo. Egli ne aveva fatto l’esperienza diretta. Quando presenta la sua autobiografia, dice di sé: “ (Sono) della stirpe d’Israele … Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile”(Fil 3,5ss.). In effetti, quando il Cristo risorto lo folgora sulla via di Damasco, egli andava ad arrestare quelli che egli considerava adepti di una setta distruttrice della vera religione, quindi, da eliminare.
Egli rifletterà a lungo sull’origine di questo paradosso: essere diventato persecutore di Colui che riteneva di servire con lo zelo del fariseo. Fariseo significa “separato”: qui sta l’origine del male. La Legge di Mosè diventa motivo di orgoglio e presunzione, suggerisce il disprezzo per l’altro e fornisce, all’occorrenza, la giustificazione della violenza. Leggete il capitolo settimo della Lettera ai Romani, che illustra questa degenerazione di una parola di Dio, data per la vita, che diventa origine di morte.
Paolo va oltre, nella sua riflessione, fondata sulla sua esperienza. Dice, nella Lettera agli Efesini (2,13-17): “In Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva,cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini”. Il fondamento dell’uguaglianza, di una diversità che arricchisce e non divide, è quanto egli afferma nella seconda Lettera ai Corinzi (5,14): “L’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti”. Questa parola, “tutti”, ricorre come ritornello nei suoi scritti, avendo come fondamento il sacrificio del Cristo, come manifestazione dell’amore universale del Padre.
L’ebraismo e la Chiesa non sono stati sempre fedeli a quanto peraltro continuavano ad annunciare. Tuttavia, la consapevolezza di questa incoerenza, non solo dovrebbe spingere a una seria volontà di purificazione, ma dovrebbe diventare principio di una pace universale. L’uguaglianza viene fondata sulla decisione di Dio per l’uomo, per ogni uomo, come già ricorda l’Antico Testamento. Per questo, penso che mi sia lecito chiedere pace per Gaza, non solo in nome della pietà, ma anche della dignità dell’uomo, di ogni uomo: concretamente, quanto sta facendo il governo israeliano è andato e sta andando ben oltre la vendetta per le atrocità del sette ottobre. Allo stesso modo, è intollerabile che in Ucraina si affrontino due nazioni cristiane, calpestando così il sangue del Figlio di Dio (cfr agli Ebrei 10,29).



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