Dio salvi la Reggiana

Le grane ai granata, create da Mike Piazza e signora, sono all’ordine del giorno e l’ipotesi che la Reggiana debba ricominciare da capo assume concretezza ogni ora che passa.
 
La lunga e tormentata storia della squadra di calcio della città ha già incontrato altre volte imprenditori interessati a rilevare la società, disponibili a metterci la faccia, la passione, la creatività, un po’ meno disponibili a metterci i soldi.
 
Al tempo di Dal Cin e della gloriosa stagione in serie A è stato il Comune di Reggio a fornire una stampella economica con le corsie preferenziali per la nascita dello stadio Giglio e dei Petali. Nel 2002 Dal Cin se ne andò lasciando alla comunità locale un regalo di circa una ventina di milioni di debiti da saldare, in particolare verso due cooperative, e fu l’assessore allo sport Mauro del Bue a rammentargli dieci anni dopo, in una tappa della infinita polemica sulle colpe dei disastri societari granata, una cosa ovvia ma forse non tanto: “Dal Cin sa benissimo che gli stadi, oltre a costruirli, bisogna anche pagarli”.
 
Chi venne dopo riuscì a fare anche peggio, perché Ernesto Foglia in pochi anni realizzò la mirabile impresa di portare a casa i benefici per la vendita dei diritti di superficie dei Petali, stimati in un’altra ventina di milioni, e contemporaneamente di fare fallire la Reggiana sotto il peso dei debiti. Fu condannato a quattro anni e dieci mesi aggiungendo la bancarotta fraudolenta ai precedenti reati di evasione fiscale per i quali era già stato condannato.
 
Un terzo presidente, Alessandro Barilli, si mise a disposizione per il bene della squadra e della città, accollandosi debiti pregressi per 1,7 milioni di euro, ma solo dopo essersi assicurato l‘acquisto da parte delle cooperative reggiane di alcuni suoi terreni edificabili in Romania (sai che comodità!) per 1,8 milioni. Barilli aveva però il dono dell’onestà intellettuale tanto da dichiarare esplicitamente nel 2010: “Gli imprenditori solo a sentir parlare di calcio prima, e di Reggiana poi, sono scappati a gambe levate, siano essi reggiani o forestieri”.
 
Tra i forestieri i coniugi Piazza sono i più forestieri di tutti. Oggi si lamentano perché nessun altro imprenditore si è fatto avanti per pagare i milioni di debiti che loro hanno accumulato, come se ciò fosse l’approdo naturale di una gestione societaria sciagurata.
 
Come se fosse appunto equa la spartizione delle responsabilità tra chi ci mette la faccia (i Piazza) e chi ci mette i soldi (cercasi).
 
Sarà forse per questa nomea di compagine calcistica da usare e spolpare che anche la ‘ndrangheta emiliana in diverse occasioni ha cercato di metterci le mani sopra, riuscendo a portarsi via la sua fetta di guadagni senza neppure prendersi le grane dell’ingresso in società.
 
Vicino all’acquisto della Reggiana arrivò un imprenditore di origine cutrese residente a Quattro Castella, già introdotto nel mondo del calcio: Pino Ruggieri. Nel gennaio 2010 è stato condannato a due anni di reclusione per tentata estorsione ed assolto invece dall’accusa di bancarotta fraudolenta per il fallimento dello Spezia Calcio, squadra di cui era presidente, costretta poi a ripartire dai dilettanti (niente di nuovo oggi sotto il sole). Si era dato da fare in passato per acquistare la Reggiana da Ernesto Foglia, dopo aver costruito i Petali con la sua impresa, ma non se n’era fatto niente. Nel 2014 Ruggeri è stato arrestato per il fallimento della Italcantieri di Milano con l’accusa di avere sottratto all’impresa 74 milioni di euro grazie a false fatturazioni e raggiri contabili.
 
Il collaboratore di giustizia del processo Aemilia Salvatore Muto aggiunge il 30 ottobre scorso una nota speciale di merito al già ricco curricolo di questo imprenditore. Lo riconosce nelle foto segnaletiche che gli mostra l’appuntato Presta durante gli interrogatori della DDA e dice: “Questo mi sembra un grandissimo costruttore, per il quale ha lavorato per anni Alfonso Paolini. Può essere Ruggiero? Pino Ruggiero, ecco. E’ noto perché aveva la squadra di calcio. Era il presidente. Paolini gli faceva i lavori… ma non intendo lavoro svolti; era sempre falsa fatturazione. Lui (Ruggiero) faceva pure degli appalti pubblici e poi, quando c’era da fare la fatturazione, si affidava al gruppo coordinato da Alfonso Paolini.”
 
Un mese prima, il 6 settembre, è l’altro collaboratore Antonio Valerio a tirare in ballo la Reggiana Calcio mentre mette a fuoco con il procuratore Beatrice Ronchi le caratteristiche del gruppo dei reggiani (intesi di nascita) legati alla cosca.
 
Valerio: “Ci sono Omar Costi, Marco Gibertini, Hermes Ferrari, la Reggiana Gourmet (società di cui era titolare prima del 2013 Mirco Salsi, imputato al processo e al quale presumibilmente si riverisce Valerio). Poi c’era anche Berni, quello dei cetriolini, dei sottaceti. Aspetti, come fa di nome… non ricordo, ma so che faceva attività con Hermes, attività con tutto quel gruppo lì e facevano truffe, facevano operazioni importanti…”
 
Ronchi: “Quando lei dice reggiano, intende che questi sono sicuramente non calabresi?”
 
Valerio: “Di origine, sì. Ma sono peggio di noi. Sono reggiani, ma fanno lo stesso parte dell’associazione. Diciamo che sono sodali? Sono a disposizione.”
 
Di quel Berni collegato ai cetriolini Valerio non ricorda il nome. Presumibilmente si riferisce ad un componente della famiglia di Franco Berni, scomparso nel lontano 1966, chiamato il “re dei sottaceti” e fondatore della omonima ditta di prodotti inscatolati con sede a Scandiano: cetrioli e sottaceti appunto, ma anche altre salse e condimenti per le paste. Figlio di Franco era il farmacista di 40 anni Davide Berni, sempre residente ad Arceto, trovato privo di vita nella propria abitazione, suicida, nell’aprile del 2012. L’Hermes Ferrari di cui parla Valerio è un altro arcetano, coetaneo di Berni, con diversi arresti sulle spalle per le sue condotte aggressive e imprevedibili. Aveva pestato un vicino di casa perché la sua auto era parcheggiata male in cortile, e nel giugno 2012 aveva picchiato per strada il console emerito della repubblica d’Albania Angelo Santoro colpevole di avere camminato troppo lentamente sulle strisce pedonali.
 
Dice Valerio riferendosi a questo non meglio precisato Berni: “Lui ci sa fare, tant’è che pure alla Reggiana gli ha combinato qualche trusto (raggiro).”
 
Ronchi: “La Reggiana… squadra di calcio?”
 
Valerio:“Sì, sì, gli aveva fregato dei soldi alla Reggiana. Aveva creato un profilo facebook tutto suo, che promuoveva azioni umanitarie e di volontariato. E si era presentato alla squadra come un prete che suonava, così hanno intortato non so se Foglia o il direttore generale della Reggiana. Gli hanno fregato un bel po’ di soldi. Me l’ha raccontato Hermes perché lo facevano assieme.”
 
Ronchi: “Fregati… nel senso che si è fatto dare dei soldi?”
 
Valerio: “Si parlava di 600mila euro e rotti. Loro gli davano dei soldi in pubblicità e gli facevano capire che c’erano degli sgravi fiscali, e in quel gruppo c’era anche Marco Gibertini., che ho detto a Hermes: fammelo conoscere. Quando era ai domiciliari per l’indagine Octopus gli ho pure detto al telefono: mi piacerebbe conoscerti.”
 
Gibertini era stato arrestato una prima volta nell’estate 2014 (la seconda con Aemilia nel gennaio 2015) per un giro di false fatturazioni che aveva movimentato 33 milioni di euro. Era un giornalista collaboratore sportivo di Telereggio e sapeva tutto della Reggiana, ma proprio tutto. Forse sapeva anche a chi erano andati in tasca quei 600mila euro e come la società era stata fregata.
 
Per non essere da meno dei colleghi anche il terzo collaboratore di giustizia parla con i PM della squadra di calcio, nell’interrogatorio del 4 luglio 2016. E’ Giuseppe Giglio, che da buon economista della cosca non è particolarmente appassionato di calcio ma i rumor del mercato li ha colti anche lui. A fargli le domande è il luogotenente dei Carabinieri Camillo Calì:
 
“Lei sa se Iaquinta Giuseppe voleva prendere la Reggiana Calcio? Se le risulta che volevano entrare sia lui che il figlio, con Paolini e company nella Reggiana?”
 
Giglio: “A me la cosa non interessava, le dico la sincera verità. Un giorno abbiamo discusso che c’era Blasco, c’era Giuseppe Floro Vito, ne abbiamo parlato e dice: ma lo sai che stiamo subentrando nella Reggiana Calcio? La stava curando più il figlio di Iaquinta (Vincenzo), e so che c’erano coinvolti Sarcone, Blasco, Valerio: cioè un po’ tutti diciamo. Però come sia andata a finire non lo so, le dico la sincera verità (la dice spesso Giglio). So che era iniziata una trattativa.”
 
Calì: “Ma non sa qual è stato poi l’esito? E non le hanno chiesto di partecipare?”
 
Giglio: “No, perché sanno che a me il calcio proprio non mi interessa.”
 
Alì: “Quindi c’erano Blasco, Valerio, Sarcone e Paolini?”
 
Giglio: “Sì”
 
Una bella linea d’attacco… anzi, d’assalto. Per un nuovo film, dopo il poliziesco del 1988 “Dio salvi la Regina”: “Dio salvi la Reggiana”.
 
(da "Dio Salvi la Reggiana" – Cgil Reggio Emilia)
 
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La Cgil di Reggio ha scelto una forma intelligente per seguire il processo Aemilia affidando a uno dei giornalisti più esperti della realtà locale, che è anche autore consolidato di opere di narrativa, lo sviluppo del dibattimento che va svolgendosi in questi mesi a Reggio Emilia. 24Emilia e io personalmente siamo particolarmente grati a Paolo e alla Cgil per averci concesso l’utilizzo dei suoi testi, anche nella consapevolezza che ciò possa contribuire a rendere più capillare la diffusione delle vicende legate alla penetrazione della ‘ndrangheta nella nostra provincia e a far sì che da una maggiore consapevolezza possano scaturire gli anticorpi affinché questi germi di malaffare possano essere definitivamente estirpati dal territorio emiliano. (n.f.)